Mentre l’Italia si appresta a alzare, nel prossimo biennio, l’iva al 25,5 % per far fronte alle richieste Ue e ai costi della prossima guerra con la Russia (quindi a comprare al modico prezzo di 100 milioni cadauno gli F35). Si scopre che l'Ikea (la distruttrice dell’industria del mobile italiano) è in realtà un ente no profit. No, non è uno scherzo, stiamo parlando proprio di quel posto in cui comprate mobili smontati a prezzi ragionevoli, che per aggirare (legalmente, per carità) il fisco risulta essere un ente non profit.
In realtà non è una novità e lo racconta molto bene, passaggio per passaggio, scatola cinese per scatola cinese, Gabriella Meroni in un lungo articolo su Vita.it., in cui spiega come l'azienda svedese in realtà abbia in realtà poco a che fare persino con la Svezia, visto che in realtà quelle poche tasse che paga le versa in Olanda.
Direi che la lettura dell’articolo è più che esauriente per cui basta un riassunto: Ikea risulta infatti, scrive la Meroni, una "controllata dall'azienda olandese Ingka Holding, a sua volta posseduta da una fondazione non profit, la Stichting Ingka Foundation, creata nel lontano 1982 dal fondatore del mobilificio Ingvar Kamprad con la nobile motivazione di 'diffondere il progresso dell'architettura e dell'interior design'. La fondazione è una delle più grandi non profit al mondo, con un patrimonio che supera i 35 miliardi di dollari".
Ovviamente, trattandosi di una onlus, "Ikea versa al fisco quanto previsto dalla legge olandese per le associazioni senza fine di lucro: il 3,5% (trevirgolacinque!) dell'imponibile. Inoltre finanzia con qualche milione l'anno alcune università svedesi, tanto per non perdere la faccia. Ma pare sia tutto, a livello di beneficienza. Il vero scopo della fondazione è creare una 'riserva di capitali' per Ikea group, in caso di 'aumentata necessità'”.
Non solo. La struttura societaria "comprende anche un'altra società olandese, questa volta profit, la Inter Ikea Systems, che però è titolare soltanto della proprietà intellettuale del marchio e del 'concept' Ikea. A possedere interamente Inter Ikea Systems è un'altra società ancora, la Inter Ikea Holding, con sede in Lussemburgo, scrive ancora la giornalista, a sua volta di proprietà di una terza società con sede nelle Antille olandesi (noto paradiso fiscale) gestita a sua volta da un misterioso trust registrato a Curaçao".
Il tutto, attenzione, avverte giustamente la signora Meroni, non è affatto illegale. La pratica di istituire società che detengano la “proprietà intellettuale” di un marchio in paesi con un regime fiscale di favore è infatti lecita. Anche in Italia e le grandi aziende ne approfittano al massimo.
Tuttavia Ikea è forse più di ogni altra azienda al mondo suo fondatore: Ingvar Kamprad, il discusso “nazimiliardario” svedese.
Va detto infatti che il “patron” dell’Ikea è un soggetto particolare, similmente a molti super ricchi di oggi, Ingvar Kamprad non solo è un ex SS (da giovanissimo) ma attivo simpatizzante del movimento hitleriano che, però in Svezia, ha avuto, ed ha sempre caratteri particolari rispetto all’originario nazismo tedesco.
Infatti sono deboli le caratterizzazioni antisemite e fortissime quelle antirusse. Ecco perché Kamprad e due multimiliardari ebrei, Soros e Kolomojoki, nella questione ucraina finanziano e armano la Giunta da Kiev nella sua guerra contro Mosca. Mentre il governo svedese è, insieme a quelli “baltici” e polacco, il più attivo in Europa contro Mosca. USA e Canada sono casi a parte.
Questa è la fondamentale differenza tra il nazismo “originario” e quello “buono” (per gli occidentali…) del terzo millennio. Il primo era (anche) antiebraico, il secondo è fondamentalmente e solo antirusso. Ecco perché trova tanto spazio in un partito, come il PD, che ha “antenati” (lontani) antinazisti e antifascisti come il PCI.
Il PD oggi ha sposato la “logica imperiale” USA e questo gli impone l’accettazione di ogni corollario. Da Ikea a Pravy Sektor.
Woland
PS: Che il nazismo sarebbe tornato Albert Camus l’aveva previsto. Andate a leggere l’ultima pagina de “La Peste”.
P.S. 2: Il bello è che, a proposito del South Stream, mentre Corriere e Stampa esultano, il Messaggero incolpa Putin di avere "schiaffeggiato" l'Europa