martedì 7 maggio 2013

Arrendersi

Arrendersi al principio della realtà. La spaccatura che sta maturando all’interno del PD riccionese sul TRC merita più attenzione di quella che la stampa locale ma soprattutto la stessa politica cittadina gli dedica. Tutti, me compreso, sorpresi e concentrati a darne una lettura parziale più che altro legata alla volontà di farne il simbolo della evidente crisi del Partito a Riccione. Credo, invece, che, mettendo da parte facili interpretazioni, si potrebbe provare a trarre da questo braccio di ferro tra chi vuole, perché ne ha colto il deflagrante rischio di azzardo morale, fermare l’opera e chi, abituato a metabolizzare tutto il passato possibile, errori ed misfatti compresi, nel segno della inamovibilità del potere, ne persegue, pur con molti fragili distinguo, la realizzazione, un motivo di maggior riflessione che racchiude in sé una più radicale ragione del suo essere e dei suoi perché. E allora a nessuno può sfuggire che tutto questo è l’effetto evidente dello scollamento tra un partito che, proseguendo il suo cammino tra mille tentennamenti e qualche rinculata da comica finale, fa fatica ad arrendersi al principio della realtà e la città che senza mezzi termini lo abbandona sempre più insoddisfatta, riottosa, animata da una sorta di furia distruttrice che lentamente lo sta orientando verso una deriva con essa sempre più conflittuale. Uno scollamento che dall'altro canto, all’interno del partito, si manifesta con questo comprensibile episodio di ribellione, lasciando nello stesso tempo trapelare quanto alti siano lo scoramento e la disillusione tra i consiglieri che, soprattutto in questi tre anni di governo del Nazareno, si sono sentiti, in qualche modo, usati come semplici portatori d’acqua e macchine autoguidate del consenso per conto terzi. Per lo più, come spesso hanno denunciato, chiamati ad affrontare senza protezione il rabbioso giudizio iconoclasta della città. In realtà il Pd a Riccione soffre di un problema politico che sta tutto racchiuso in un limite molto evidente. Non aver colto fino in fondo la nuova concezione di governo del territorio. Una capacità del fare che può essere dettata solo dalle priorità, dalle circostanze e dalle necessità. L’idea centrale che ancora alberga invece nel Pd, rafforzato dall’arrivo del nuovo segretario, quel Fantino Casadei che, chiamato a salvarlo, ripropone lo stesso schema del Nazareno, quel mix di arroganza e incapacità, mista alla mancanza di visione ed autonomia, è ancora di tipo egemonico. Il Partito del nuovo Fantino, nonostante il colpo subito, con il tracollo elettorale, cerca, ancora insistentemente e per giunta attraverso manovre contraddittorie, di riaffermare questa sua presunzione egemonica su fare e il disfare, ottenendo un risultato esattamente opposto, favorisce in realtà l’esprimersi e il coagularsi di oggi nuovi, ma per molto tempo apatici, soggetti e aggregazioni sociali che lasciano i confini della loro tranquilla subalternità e la nobilitano come gesto di radicale cambiamento. Una sorta di maggioranza silenziosa che, dentro e fuori il partito, ha perso la fiducia e stracciato il collateralismo, nel tentativo di camminare da sola e poter adottare più ampie linee di condivisione. Rilanciando anche il cauto tentativo di aprirsi ad una nuova area di protagonismo politico. Dopo aver assistito al suicidio collettivo di un partito, irrimediabilmente prigioniero di quella sua illusione egemonica, costruita su una nobile e solida cultura della sinistra capace, ma mai rielaborata nel confronto attuale con la realtà. Un tentativo di rilancio che nonostante la timidezza con cui si è fin qui espresso sta caratterizzando anche e con forte accelerazione la revisione avviata dai Consiglieri ribelli con il loro no al TRC 
alberto nardelli