lunedì 17 ottobre 2016

Il Vulcanico Renzi

Non si fa a tempo a scrivere che il vulcanico Renzi ci consegna nuovo materiale. Quale spunto migliore se non quello dell'abolizione l'ente riscossore, tanto antipatico e vituperato, denominato Equitalia. Se continua così, indossato camice e mascherina da allegro chirurgo amputerà di netto anche le assemblee condominiali. L'evoluzione darwiniana della rottamazione. Voglio tuttavia prendere impulso da questa notizia dicevo all'incipit, per dare due informazioni su struttura e funzioni del sistema tributario. Un mondo in apparenza complicato, ma non solo, assai affascinante. In fondo siamo tutti, nel nostro piccolo, Ministri delle Finanze all'interno del nucleo famigliare di appartenenza, la principale forma di aggregazione spontanea di individui in una formazione collettiva "regolamentata". Anche se sempre meno numerosa. La parte di gran lunga maggiore delle entrate di uno Stato moderno è costituita dai tributi. Cioè le entrate che gli enti pubblici prelevano dai soggetti in virtù della loro potestà di imperio. Tralasciamo le entrate di diritto privato proprie di enti pubblici che le realizzano con l'esercizio di attività economiche di libero mercato. I tributi che sono applicati secondo il criterio della controprestazione vengono sbrigativamente chiamate "tasse". Di imposte speciali si parla quando si fa riferimento al criterio del beneficio, quando per esempio nel caso di lavori stradali la maggior parte dei costi viene addebitata ai proprietari frontisti perché ottengono un bene dall'incremento di valore del loro fondo. Ma c'è un però monumentale: nella maggior parte delle spese pubbliche il criterio della controprestazione è inapplicabile. Le spese pubbliche più importanti: servizi generali, sicurezza, interna, difesa, giustizia, istruzione, opere pubbliche non sono erogate su domanda diretta dei contribuenti, né esiste possibilità sicura di valutare se ne beneficino davvero, e in che misura, i diversi gruppi di individui a prescindere dal principio del "sacrificio uguale", che John S. Mill riteneva definire quella imposta che deve sottrarre a ogni contribuente una quantità uguale di utilità, ovvero del sacrificio proporzionale, infine, del sacrificio minimo, il quale afferma debba essere "minimo" il sacrificio totale provocato dal prelievo delle imposte alla collettività. Ecco abbiamo spostato l'attenzione su un altro termine. L'imposta: essa è lo strumento di ripartizione dei costi degli enti pubblici ai quali non corrispondono benefici che possono essere individuati, anche se si vorrebbero individuare, nei confronti dei singoli beneficiari. Perché sia minimo il sacrificio totale le imposte debbono prelevare le unità di ricchezza che hanno minore utilità. Se si ammette che dosi successive di ricchezza abbiano utilità decrescente per la stessa persona e se fra più persone, l'utilità marginale della ricchezza per il più ricco sia minore di quella per il più povero, segue che l'imposta deve condurre al livellamento della ricchezza dei cittadini. Per esempio se lo Stato ha deciso di prelevare un milione e ci sono tre contribuenti: Caio con reddito di 4 milioni, Tizio di 3 e Sempronio di 2, lo si dovrebbe prelevare tutto da Caio, per il quale questo milione è in eccedenza rispetto al reddito degli altri. Ripartire l'imposta fra C. e T. significherebbe lasciare C. con un reddito superiore a 3 milioni e T. con un reddito inferiore, sottraendogli una dose di reddito avente utilità superiore al reddito lasciato a C. in eccedenza su 3 milioni, cosicché il sacrificio totale per la collettività non sarebbe il minimo possibile. Per la stessa ragione, se si dovesse prelevare 3 milioni, si dovrebbero prelevare 2 milioni a C. e 1 a T, in modo da livellare tutti al reddito di 2 milioni. Soltanto questo principio, del sacrificio minimo, tiene ancora un posto in letteratura....to be continued (fini fiscali ed extrafiscali delle imposte; quelle dirette e quelle indirette, quelle di consumo. La tesi del Barone). Se ne avrò voglia e se sono riuscito almeno un po' a farmi capire senza tediare e annoiare. 
Roberto Urbinati