mercoledì 9 luglio 2025

Ovunque

Giuliano Amato gioca a tennis, ma nel ruolo di pallina. Rimbalza da un campo all’altro, viaggia oltre le reti e si posa, ora su un incarico e poi su un altro, con lepida leggerezza. Il Giulianin fuggiasco. Nonostante il cognome, è il meno Amato dagli italiani: la ragione principale dell’odio popolare e bipartisan sono le sue favolose indennità e la sua pensione sovrumana, oltre che la leggendaria manina che entrò per la prima volta nei conti in banca degli italiani. Eppure nonostante l’indice di sgradimento altissimo, anzi il pollice capovolto, Amato è il jolly più richiesto della Repubblica italiana. Per carità, è di rara intelligenza e versatilità. L’ultima nomina è di pochi giorni fa, quando è stato chiamato a guidare, lui che ha 86 anni, la commissione per affrontare le sfide del futuro e gli scenari dell’intelligenza artificiale; lui con la sua intelligenza ricca di artifici, faina in un corpo da colibrì. E' la sintesi dello stupendo articolo che Marcello Veneziani ha dedicato a Giuliano Amato, usato (anche) dalla disperata intelligence di Dagospia, per una insulsa rievocazione dei rapporti tra Napolitano e Berlinguer. Una rievocazione all'interno del Partito Comunista, firmata da un socialista che allora poteva (solo) orecchiare alle porte delle Botteghe Oscure, è valida per il blog specializzato in ben altro. Accademico, economista, richelieu del sovrano, ministro e premier, presidente di tutte le commissioni, giurista, veggente (vedi Ustica): le sette vite del dottor Sottile. Disegnato come un ratto, il topolino montò sulla Treccani per assumere la presidenza dell’Enciclopedia. Amato schizza dal campo dei tecnici a quello dei politici, ha fatto l’arbitro e l’allenatore, il giocatore e il segnalinee. Craxiano, poi anticraxiano, coi trust e all’antitrust, coi socialisti e i liberisti. Fu l’ultimo dei socialisti al potere ma anche il primo premier dell’era antisocialista, fu l’ultimo dei politici della prima repubblica ed il primo dei tecnici per gestire il passaggio alla seconda. Non si è (mai) capito se la sua riemersione fosse una postuma rivincita di Craxi o un oltraggio alla sua memoria. Nella guerra civile della sinistra giocò nel primo tempo coi guelfi e nel secondo coi ghibellini, riuscendo nell’intervallo a passar per vescovo e paciere. L’antico trasformismo nazionale lui lo indossa con britannica eleganza, fornendone una versione forbita e perfino rigorosa. Basta, solo lui poteva ergersi a testimone della rappresentazione di una sinistra in leggera decadenza. Avvertibile.
massimo lugaresi