lunedì 4 novembre 2024

In Attesa

Il 5 novembre sapremo chi sarà il Capo Supremo anche della nostra pavida nazione. Il Pd freme ed oltre a licenziare, per giusta causa, la segretaria eletta dagli (allora) nemici grillini, freme in attesa della notizia. Se rivince Trump, non basterà riciclare Matteo Renzi per rilanciare le pretese democratiche. Le due guerre dividono pesantemente il partito, che non convoca gli organismi per paura di ricominciare da un Occhetto. C'è la notizia del ritorno di Matteo Renzi da digerire. L’eterno equivoco del Pd e la pavida rinuncia alla sua vocazione maggioritaria, così Mario Lavia sentenzia. Invece di ricostruire un partito riformista e di governo capace di attrarre una base elettorale ampia e diversificata, i dem preferiscono arroccarsi nello schema obsoleto della divisione dei ruoli, tra un movimento di sinistra salis e una forza liberaldemocratica, che però non c’è, delegandole il compito di ottenere i voti dei moderati. Una versione aggiornata del Campo Infinito di Prodi, il solito equivoco del partito democratico, il solito errore, pensare di fare la sinistra e appaltare a qualcun’altro il compito di pescare voti più legati a un’idea di governo. Lo schema di 25 anni fa tra Ds-Margherita. Fecero di peggio e cioè un Partito definito, con ridicola fantasia, Democratico che parlasse (solo)  alla maggioranza degli italiani. Ci fu il breve lampo convincente di Renzi, poi arrivarono i Landini con lauti stipendi e peggio (molto) le Salis con gli imbianchini dei musei. Una volta la sinistra aveva impostato una cosa più semplice ed intuitiva. Il Partito Comunista fungeva le vesti principali, attorno sedevano socialisti di vario genere ed il resto coreografico della sinistra che conta solo su alcuni giornali. Ma il distacco con il centrodestra era visibile ed accertabile. Oggi il Pd è il più grande rifugio democristiano e, nello stesso nazareno, anche di un antagonismo da operetta. Non rimane che urlare al fascismo che ritorna. 
massimo lugaresi