giovedì 8 agosto 2019

Poesie

Da molto tempo non scrivo Poesie. È stata sempre la mia vera lingua. Ho iniziato a 8 anni a "versare". In quel microcosmo si compiva il mio declino e la mia ricchezza sbocciava, come alla notte seguisse una primavera. Tutti i colpi e la riluttanza di esistere lì trovava sintesi e pace. Risorgeva. Adesso ho smesso. Ho smesso di trasformare l'odio in versi. Ho perduto il dono. E (io) so perché. Ho perduto la purezza. Avvicinarsi all'età di mezzo fa accumulare scorie che anche Seneca ha cercato di espellere nella sua opera "plastic free" rubricata sotto il titolo: de tranquillitate animi. In una ipotetica linea di lettura scorgo la bellezza che salverà il mondo, come diceva Dostoevskij, in alcune opere all'apparenza secondarie, ma tenute insieme da un filo rosso contra malocchio se non altro: elogio alla follia di Erasmo da Rotterdam, piuttosto che l'homme rivolte di Camus, l'essere e il nulla di Sartre. Tutte opere che hanno inclinato la scelta del frammento nell'espressione in quella di una prosa più lenta, che difficilmente fa musica e si regge da sé. Come se crescendo le parole e le stratificazioni delle letture invece di farsi sintesi hanno paradossalmente indotto al bisogno di comprensione, di perdono, di spiegazione. È uno step culturale che avrà, né sono convinto, il ritorno all'ermetismo in quanto fonte estrema di vitalità artistica. Come l'aritmetica e il linguaggio dei numeri che ha bisogno di complicarsi, di farsi equazione, sistema, per giungere alla sintesi del risultato finale. E=mc con esponente alla seconda. 0 e I ripetuto all'infinito è esattamente l'equazione dell'equilibrio fra bene e male, giorno e notte, bello e brutto, vita e morte, spazio e tempo. Ascisse e ordinate che in un dualismo imperfetto ci conducono per mano a mirar ogni sfumatura di colore che il pittore del tramonto ci consegna prima dell'imbuto della fine. E allora la mia poetica nulla è se non il racconto ozioso dell'attesa. Quel disperato tempo che ho ascoltato nei racconti prima di un assalto. Quella vana è ripetuta speranza di sognare che altre attese non ce ne siano, sebbene invero significhi esserci ancora in questa magnifica esistenza. E come un cane che si morde la coda si finisce a girare in tondo come trottola. E in questa scena ossessiva, che pare una condanna dantesca, nessuna resa è permessa se non quella che a tutti riconosce medesima dignità. Vedrete che saremmo tutti capaci di saperci presentare eleganti quando ci imbelletteranno e poseranno, domiti e finalmente silenti, di traverso in quella terra che tutto divora. È così facile del resto sapere che il nostro premio è a termine. È così facile e cinico credere che di ogni costruzione umana non rimane che il dolore negli occhi di chi ti ha amato veramente. Sulle loro gambe non solo l'esempio, la somiglianza, ma il ricordo, sebbene si offuschi e confonda, trova ragione. E per questo che ogni volta che un Paese ed una cultura è in sofferenza ed ha bisogno deve rivolgere, come si rivolge, ai propri avi attenzione. Altro che "rottamazione"! Alla storia si deve ricorrere, come alla Poesia non si può rinunciare, nello scondire dei versi, nel loro incedere fiero fra la folla distratta, ove si disfa e ricrea l'azione vitale che sta alla base di ogni civiltà.
R.Urbinati