domenica 25 giugno 2023

Secondo Melucci

La domenica (mattina), non andando alla messa, la dedico alla lettura di Melucci Maurizio, uno degli ultimi testimonial del comunismo alla riminese. Nel covo di Chiamami Città, c'è anche il compagno Piccari, responsabile editoriale delle ironie, alle volte pesanti, sul regime appena instaurato. Entrambi, sembra, abbiano aderito alla corrente "sui generis" della Schlein. Li leggo, sperando di trovare una lontana ragione per votare ancora a sinistra. Sono in profonda inquietudine. Tutto sta sfuggendo al ferreo controllo politico-sindacale-imprenditoriale, senza parcheggi. L'ultima metamorfosi, oltre alle incomprensibili motivazioni urlate, con il ditino alzato, dalla Elly, li ha portati in un campo ristretto e pericoloso. La Meloni giochicchia con il povero Bonaccini, convinto di gestire la torta miliardaria della ricostruzione. Dopo essere riusciti a distruggere la premiata sanità emiliano e romagnola, sembrano piuttosto avanti con la decimazione turistica, nella regione modello. Il Caffè delle Rose, simbolo condiviso della Rimini Sparita, ha chiuso per mancanza di avventori e per spazi ristretti, non essendo nato sulla spiaggia. Un ulteriore monito al coro dei pienoni. Il Carlino dirige l'orchestra, mi sembra, anche lui, alluvionato. La costruzione dell'edificio, a cura dell'Archistar Fuksas, secondo il vecchio amico di liceo e calcio, Manlio Masini, è stata meno felice di quella condotta da Quarto Pasini. Raffronto improponibile. Lo frequentavano Federico Fellini e Giulietta Masina ma ci sono passati tanti nomi di cultura, musica e spettacolo, facendone scenario per eccellenza della “Dolce vita” riminese. Se non ci fosse stato il Caffè delle Rose, «la Rimini balneare non sarebbe quello che è diventata, osserva lo storico Manlio Masini, appassionato studioso dell’epoca d’oro del turismo in Riviera. Il Caffè delle Rose è stato per decenni un simbolo, perché non era soltanto uno dei locali più alla moda, ma anche quello che animava la vita culturale e artistica della città. Poi il declino, fino a diventare una steakhouse. C'è sempre, sulla Palata, la toilette degli sposi. Ma il vero Melucci si scatena nell'impossibile difesa della funzionaria ciennina, diventata (per caso e per poco), sindaco riccionese. Se la prende con la Elena Raffaelli, senatrice leghista che ha affermato l'estraneità del centrodestra nell'operazione scrutinio. E' vero che la propaganda piddina, nella sciagurata guerra ucraina, ha accusato Putin di aver distrutto il "suo" NordStream, però a Riccione non hanno trovato ancora masochisti di destra. Solo il pensare la dubbia estraneità della ex sindaca Tosi, mostra qualche pipaculo prossimo. 
massimo lugaresi