giovedì 5 maggio 2022

5 Maggio

Dilettandosi in storia. E’ una data indelebile per gli amanti della storia. Moriva, infatti, ristretto in esilio sull’Isola di Sant’Elena, dopo la sconfitta patita a Waterloo nel 1815, l’imperatore dei francesi che tante teste coronate fece tremare in tutta Europa. Era il 1821 e Manzoni subito si affrettò a dedicare apposita ode all’evento che venne tradotta anche da Goethe: “Nè sa quando una simile/ orma di piè mortale/ la sua cruenta polvere/a calpestar verrà …”. Le ragioni dell’importanza della figura di Napoleone, della sua immortalità, è data a mio parere da un lato dalla sua attualità, dall’altro dalla sua divisività. In fondo fu un prevaricatore che mise a ferro e a fuoco l’Europa, ma a differenza di altre figure storiche, lo fece all’interno e nell’alveo di un fermento culturale che ha dato il là alla modernità . Rimane tuttavia ancora irrisolta, irrealizzata, la previsione e l’auspicio che Manzoni ha rimandato nella sua ode, ove indica ai posteri l’incombente di dare “l’ardua sentenza” sull’autenticità della gloria di Napoleone: fu dunque vera gloria? Fu figura che divise visceralmente, oggi diremmo, l’opinione pubblica fra chi lo idolatrava per essere l’interprete della Rivoluzione che ne seppe mitigare le pulsioni radicali e gli eccessi giacobini, dall’altro per chi per queste stesse ragioni lo avversava. Tutti concordano e riconoscono, tuttavia, essere stato un genio militare. Napoleone è figlio del suo tempo e della Rivoluzione. La sua figura è destinata a rimanere divisiva come lo è stata in vita. Lui stesso era conscio dell’ambiguità e contrarietà dei sentimenti che destava e ispirava, tanto da lasciarne traccia scritta: “E’ molto meglio avere nemici dichiarati che amici celati”. Mi sono sempre domandato SE e COSA Napoleone dovesse alla Rivoluzione e viceversa. Mi sono persuaso che la Rivoluzione sia condicio sine qua non per l’ascesa e il trionfo di Napoleone, il quale poté soddisfare le sue ambizioni, solo perché la Rivoluzione, ipso facto, scombinò le rigide gerarchie militari vigenti in Francia fino al 1789 ove potevano fare carriera ed aspirare al comando solo coloro che appartenevano alla classe aristocratica. Del resto è intuitivo, fino alla Rivoluzione tutti gli eserciti combattevano per il Re, giammai per il concetto di Nazione che sarà la Rivoluzione francese a far emergere ed affiorare come concetto storico immanente: pensate al testo della Marsigliese e ne avrete il quadro. Di contro fu anche protagonista di un dinamismo politico piuttosto ardito, quanto il 9 novembre del 1799, a dieci anni dalla Rivoluzione, approfittando dell’impasse del Direttorio, organo che deteneva il potere esecutivo, che non riusciva a dare un assetto stabile e definitivo alle istituzioni nate dopo il 1989, decise di sciogliere d’imperio le assemblee elettive: Consiglio degli Anziani e dei Cinquecento, sostituendole con un Consolato, scrisse repentinamente una Costituzione che sottopose frettolosamente all’approvazione con un plebiscito da rapida consultazione popolare. Ancora non saziate le velleità che la sua ambizione gli imponeva, forte nel frattempo delle vittorie militari che mieteva con quella che sarebbe stata denominata Grande Armée, nel 1802 si fece nominare Console a vita ancora con un voto plebiscitario, desideroso tuttavia già di puntare più in alto, al titolo di Imperatore dei francesi. Scelto non tanto per fascinazione dell’età classica dell’Antica Roma, ma piuttosto per reintrodurre surrettiziamente, senza destare sospetti, “aspetti monarchici” propri di quell’ancien regime che la Rivoluzione aveva decapitato solo pochi anni prima. Sappiamo che riuscì nell’intento nel 1804 quando si auto-incoronò nella cattedrale di Notre-Dame con una cerimonia per certi versi analoga a quella della notte di Natale dell’800 di Carlo Magno, ma qui oltre il giorno (2 dicembre 1804), e il luogo (Parigi in vece di Roma), chi depose la corona sulla testa non fu il Papa, presente alla cerimonia, ma Napoleone stesso. Cosa diede, invece, Napoleone alla Rivoluzione. Certamente la incanalò, come prima cosa, verso una dimensione istituzionale e moderata, da qui l’accusa di averla tradita; in secondis ne diffuse i principi, lo spirito in tutta Europa, anche attraverso le sue campagne militari, infine, la disciplinò e la codificò, concorrendo a dare sostanza al positivismo giuridico. Così facendo, per certi versi, concorse a suo modo a consegnarne i principi fondamentali ai posteri perché li condividessero come patrimonio dell’umanità. Che sia questa la sua più grande eredità lasciataci quale tassello fra i tanti della cultura moderna ? Ai posteri l’ardua sentenza.
Roberto Urbinati