venerdì 6 maggio 2022

Primum facere

Deinde philosofari. La morte di Socrate viene a noi grazie a Platone che ce la racconta in due dialoghi: l’Apologia (l’autodifesa) e il Fedone. Socrate è accusato di empietà e corruzione dei giovani, poiché non solo non ha riconosciuto gli dei tradizionali della polis,ma ha altresì raccolto attorno a sé un gruppo di discepoli, di alto lignaggio, che misero in discussione le credenze tradizionali. Nell’Apologia Socrate condanna secco la classe politica corrotta dell’epoca al contempo difendendo la propria libertà di coscienza e d’espressione, diventando simbolo dell’intellettuale che non si piega al potere, ma lo contrasta. Socrate verrà condannato con 360 voti su 500 ed accetta senza proferire contestazione l’ingiusta sentenza. Si dice che avrebbe bene potuto lasciare la città e preservarsi la vita, ma il sottoporsi al processo, stare in quel processo, rappresenta il compimento, l’apogeo, il raggiungimento della vetta nella sua missione educativa e di filosofo. Infatti secondo Socrate chi rifiuta la legge del proprio stato rifiuta d’essere uomo, in quanto viola il patto di convivenza tra gli uomini che la legge stessa esprime, funzionando la legge da accordo fra i cittadini a loro tutela. In questo tratteggia già quel “patto sociale” di cui i giusnaturalisti e, in particolare, Hobbes nel XVII sec. disciplineranno nella ricerca della pace sociale (pax est quaerenda). Insomma è con la sua stessa morte che Socrate riafferma la fedeltà alla legge: se si ritiene ingiusta la legge si può e deve lottare per cambiarla, ma non è permesso violarla. E’ rigorosissimo sul punto! La moralità per egli infatti è disertare rispetto le pulsioni dei propri istinti e desideri per invece convergere su principi che si ritengono giusti e corretti in base alle proprie idee. Altro aspetto che condivido della filosofia è la considerazione della morte essere il punto più alto della vita, il raggiungimento di un traguardo, tanto è vero che la filosofia per Egli era il percorso di preparazione alla morte attraverso l’esercizio della ragione. E’ così la morte entra a pié pari nella filosofia! Platone ci consegna quindi l’immagine di un Socrate che accetta la morte con rassegnazione, mostrando alcun turbamento ed una grande serenità. Tanto è vero che quale ultimo desiderio chiede che venga sacrificato un gallo al Dio della medicina alla stregua dell’usanza in voga allora che praticavano i malati al momento della guarigione, significando che con la morte Socrate finalmente guarisce alla vita. Per egli infatti la dimensione spirituale, cioè l’anima è immortale. Quest’ultimo concetto, invero, condiviso da molti altri filosofi viene fatto proprio anche da Gesù, ci dice Matteo 10:28 “E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Temete piuttosto colui che può distruggere sia l’anima che il corpo nell’inferno”. Con una novità, invero, l’anima può essere distrutta solo da Dio, avvertendo l’umanità del suo giudizio con il quale Dio brucerà i cattivi incorreggibili in un fuoco eterno, facendoli in cenere e annientandoli per sempre (Libro di Malachia 4:3). 
Roberto Urbinati