domenica 19 giugno 2011

Da Bere

Negli anni 50 Rimini veniva spesso accostata all'immagine di una bella donna, non era dettato dalla moda ma da una sensibilità culturale che esprimeva il desiderio di pensare la città in termini delicati, quasi impalpabili. Impostazione che portava ad un istintivo romanticismo, composto da tante cambiali da onorare ma anche passioni che ci hanno fatto diventare grandi, un volano di riferimento del sistema turistico romagnolo ed italiano. Il sano provincialismo sapeva dialogare con il  mondo, senza rinunciare alla sua originalità, ben oltre gli squallidi stereotipi che oggi si ricordano, una grande corsa alla quale tutti avevano diritto di partecipare, facendo leva sulle proprie forze. Questo è stato il motore dello sviluppo tumultuoso di quegli anni, in seguito, con l'idea anche giusta di mettere regole e paletti, sono stati chiusi i cancelli con tantissime mucche fuori a pascolare liberamente, le altre chiuse nella stalla urbanistica. La politica ha iniziato a fare scelte andando verso una indecente burocratizzazione che si è sposata con i sistemi di potere degli apparati economici, facendo diventare tutto obsoleto, solo grazie alle spinte originarie i primi sintomi di crisi si sono avvertiti molti anni più tardi, le gobbe di grasso composto anche da evasione ed elusione hanno permesso una sopravvivenza più lunga, la Rimini anni 80 era ancora forte e spumeggiante, incassava gli ultimi bonifici dall'eroica epopea. Ripensare a quegli anni come modello è sbagliato, occorre usare la lingua della verità per quanto dolorosa, libero mercato e libera concorrenza, la spiaggia va consegnata a chi vuole investire e non costruire gazebi abusivi, vanno edificati grandi alberghi, servizi a misura del cittadino utente, non per produrre utili mostruosi alle aziende preposte, le poche risorse vanno investite dove servono, non in seminari od alimentando un apparato politico e sociale che torna utile nelle occasioni elettorali, vale per lo sport, cultura, welfare, sanità. L'urbanistica deve favorire le imprese, non le speculazioni, capannoni e sedi produttive vanno legati direttamente alla produzione, se cessa l'attività, con corretti meccanismi la struttura deve passare ad un nuovo imprenditore. Ovviamente esempi e discorsi sono tanti ma se non mettiamo in moto questo meccanismo di trasparenza ritorna un film già visto, i Grillini hanno capito che anche questo regista è pessimo, bravi.