venerdì 25 ottobre 2019

Un Dehors Val Bene ..

Una Messa. La settimana scorsa ero nel piccolo orto posto dietro la canonica a zappare, più per divertimento che per guadagno, quando arrivò tutto trafelato il postino con una lettera in mano. Essa proveniva dall’ “Associazione riminese dei preti democratici”, che mi invitava ad intervenire, quale relatore, ad una tavola rotonda dal titolo: “Lo scisma annunciato: dove andrà a finire la Chiesa di Roma? Il ruolo dei cattolici impegnati in politica e nel sociale.” La cosa mi entusiasmò non poco: rivedevo i bei tempi passati, quando mi confrontavo apertamente col kompagno Peppone e quando il Pci e la Dc erano partiti seri con un programma ed un progetto di società ben distinti e distanti tra di loro, senza ipocrisie né confusioni. Sapevo che il Vescovo di Rimini, in occasione della festa del Patrono Gaudenzo, durante l’omelia aveva sorvolato sulle questioni politiche locali sollevate da tal avvocato Roberto Biagini, già assessore di “giunta rossa” per l’affare Aquarena – Tecnopolo, soffermandosi invece sul tema dei profughi e dell’accoglienza, facendo sentire i fedeli non fedeli al verbo piddino e rei magari di avere votato Lega, come cristiani destinati alle fiamme dell’inferno, in quanto dediti a spargere odio e livore razzista verso gli immigrati irregolari e clandestini. Ce n’era da discutere. Arrivò quindi il giorno di scendere a Rimini, ridente cittadina sull’Adriatico, ex capitale mondiale del turismo, quel puntino sull’Adriatico che contende il primato per tutto e su tutto a Friburgo. Su quelle ridenti terre regnava indisturbato come un antico sovrano mesopotamico, Niassi XIV lo Splendente. Il treno partito da Parma sferragliava allegramente e pullulava di giovani laureati che scendevano a Rimini attratti dalla prospettiva di avere un’occupazione come camerieri di dehors nei locali riminesi. In fondo era un’occasione per non emigrare all’estero in cerca di lavoro e un posto da cameriere di dehors è pur sempre un dignitoso posto di lavoro che val bene una laurea. Da tre anni in base ad un regolamento condiviso, ai pubblici esercizi che ne avessero fatto richiesta, era consentito proiettarsi all’esterno ed occupare marciapiedi e piazze con tende, sedie e tavolini. Il sovrano da tempo spiegava, supportato da una folta corte di miracolati dalla sua magnanimità ed amicizia, che la città si stava trasformando nella capitale inter-mondiale della cultura cosmica e che i bar, i ristoranti, le piadinerie, le gelaterie, le pizzerie “Vera Napoli” e i banchi dei lupini sarebbero stati la vera molla per il rilancio del Pil e dell’occupazione del Paese, che i debiti del Comune erano un’invenzione dell’opposizione fascista e che la criminalità nella sua città non esisteva. Arrivai con la lettera in mano in Curia. Mi accolse un pretino giovane e ben educato in abbigliamento casual, alla moda. Egli mi spiegò che non sapeva nulla dell’”Associazione riminese dei preti democratici” e che non era prevista nessuna tavola rotonda sul tema riportato nell’invito, semmai c’erano una serie di inaugurazioni di bar e supermercati ai quali avrebbero partecipato il sindaco e il vescovo per la benedizione dei locali. Evidentemente si trattava di uno scherzo ordito da ignoti per burlare il povero prete di campagna. Ormai si era fatta l’ora di desinare. Chiesi al garbato pretino dove potessi trovare un posto per calmare la fame nervosa che mi aveva procurato la vicenda. Mi consigliò un locale poco distante, posto di là del ponte di Tiberio verso la fiera. Lì avrei trovato l’ottava meraviglia del mondo: non un borgo, ma il BORGO, cioè quel luogo che era ormai riconosciuto da all the word, dalle Alpi alle piramidi, quale il BORGO PIÙ BELLO DEL MONDO. Avrei potuto gustare cosi nudamente e crudamente, senza fronzoli né leziosità la più buona piada con i sardoni dell’emisfero emerso, con quel guizzo di gusto in più rappresentato dalla genuina cipolla di Santarcangelo dell’Alice nel paese delle meraviglie di Maggioli. La giornata era soleggiata e tiepida, anticipatrice dell’estate di S. Martino. Mi sedetti al tavolino di un dehors ad assaporare tanta bontà. Tutt’intorno a me, ad ogni angolo, i vapori del vino si mescolavano allo sfrigolio dell’olio delle fritture, al fumo delle salsicce arrosto, ai potenti odori dei formaggi, alle castagne arrostite o a quello delle ”balose”, ai brindisi con lo spritz che lì continuava a scorrere a fiumi anche dopo le proverbiali “Notti rosa”, al vociare della schietta gente romagnola, che si fermava volentieri a parlare con Niassi lo Splendente, dispensatore di battute e pacche sulle spalle: ciò burdell, tra un pò us vota…stem atenti de pericul de fasismi… vutem mu me , c’a so ‘e più bel e brev de mond I parcheggi risultavano spaziosi e ben illuminati, le piante e gli alberi rigogliosi e curati, le pietre antiche bene in mostra dal parco e dalla passerella. Un vero eden park archeologico-gastronomico. Questa quiete fu ad un tratto squarciata da un urlo di terrore che pervase la comunità tutta: la Sovrintendenza nella persona di un umile funzionario aveva dichiarato che i dehors dovevano essere smontati e che l’accordo tra Comune, categorie e operatori, condiviso anche dai marziani e da Qui, Quo, Qua non era valido. Alzai gli occhi al cielo, incredulo: ma riguardava anche il dehors sotto il quale stavo gustando quell’ottima piada con i sardoncini dell’Adriatico? Immediatamente la stampa, le tv locali, le radio (si narra anche dell’intervento di una troupe della CNN), gli assessori competenti si occuparono della faccenda. Un assessore dal cognome difficile da pronunciare, candidato a succedere allo Splendente, affermò con forza che tale provvedimento avrebbe portato fame, disoccupazione e carestia sulla piccola comunità, se non fosse stato bloccato e rivisto. Tutti urlavano ed imprecavano contro il povero funzionario, persino Indino potente rappresentante dei commercianti locali ed ora presidente del CAR, scese in campo per denunciare il misfatto. In questo clima da Rivoluzione francese, zitto zitto, presi la via della stazione pensando che la causa della rivolta erano i dehors e non la crisi delle banche, la pressione fiscale, la disoccupazione giovanile, lo smantellamento progressivo dello Stato sociale, i tagli alla sanità e alla scuola, la distruzione del ceto medio e del piccolo commercio da parte dei colossi del web, la chiusura delle fabbriche e l’acquisto dei nostri marchi prestigiosi a prezzi di saldo da parte delle multinazionali, l’inefficienza della pubblica amministrazione… Che strano paese !
 Don Camillo