sabato 9 giugno 2012

O Con Noi o...

PARMA - Hanno paura di ritorsioni e così chiedono l'anonimato. «Alcuni professionisti che già lavorano con la Provincia e la Regione, amministrate dal Pd, ci hanno chiesto di non pubblicare il loro curriculum: non vogliono far sapere al partito che si sono candidati per diventare assessore nella nostra giunta». Marco, consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle, fa parte della commissione che sta vagliando le nomination di coloro che vogliono entrare nella squadra di governo del sindaco Federico Pizzarotti. Tra gli aspiranti, rivela il consigliere, anche tanti dirigenti pubblici già a contatto con le macchine amministrative democratiche e che «quindi temono di farsi terra bruciata intorno». La politica, si sa, chiede scelte di campo: o con me o contro di me. E il Pd parmigiano e regionale, in pieno psicodramma per lo schiaffone rimediato, sembra intenzionato a non fare sconti a eventuali «traditori» folgorati sulla via del grillismo. E se all'esterno potrebbero scattare le prime rappresaglie democratiche, all'interno il partito di Bersani prova a guardare avanti. Già, e come si fa? «Stiamo facendo una profonda riflessione - premette a Linkiesta la senatrice Pd Albertina Soliani, minoranza interna e battagliera in quota Ignazio Marino - questa batosta ci deve far capire che dobbiamo cambiare: basta candidati scelti con i sondaggi interni. È ora di guardare fuori, più a quel 40% che si è astenuto e meno a certi poteri forti. Le vecchie logiche di delega sono terminate». L'ideale sarebbe tornare tra la gente «per una nuova svolta movimentista», appena sarà stato riposto il cilicio. Certo, la sportellata rimediata è di quelle che non si dimenticano. Non solo perché è stata la quarta sconfitta consecutiva alle elezioni comunali «segno che non conosciamo la città». Ma anche per come è maturata. Un crescendo di autogol verbali alla Niccolai. All'inizio per Vincenzo Bernazzoli doveva essere «un rigore a porta vuota»: Pdl travolto dagli scandali, civici divisi in due liste. Poi, dopo il primo turno, lo spavaldo presidente della Provincia aveva ammesso: «Pizzarotti? È una finale contro una squadra di serie B». E a dargli di gomito era stato Pier Luigi Bersani in persona, arrivato in città per un comizio davanti a cinquecento persone. Ma alla fine, come nella peggiore tradizione calcistica italiana, la partita si è trasformata in una Corea. Adesso la gioiosa macchina da guerra vorrebbe ripartire. Tuttavia, nei borghi della città c'è ancora chi si chiede come sia stato possibile finire così. Nel mirino dell'autocritica c'è ancora lui, Bernazzoli. Ancora al centro, suo malgrado, di un tiro al piccione niente male. «La persona sbagliata nel momento politico sbagliato», glissano in un circolo Pd dell'Oltretorrente. Lui, barricato in Provincia, non parla con la stampa e nemmeno cinguetta più di tanto su Twitter. Finita l'iperattività comunicativa della campagna elettorale qualche giorno fa si limitava a commentare così, con Linkiesta, la situazione: «Non so cosa farò: devo scegliere se dimettermi da consigliere comunale di opposizione. Di sicuro non farò il capogruppo». Ruolo per cui è stato indicato Nicola dall'Olio, sconfitto alle primarie di coalizione ma mister preferenza al primo turno. Proprio a quest'ultimo si sono appellati alcuni consiglieri del Movimento per avere una sponda sui temi condivisi. Un amo respinto al mittente: «Faremo un'opposizione dura e costruttiva». Di sicuro Bernazzoli non lascerà la poltrona di presidente della Provincia, nervo scoperto su cui i grillini hanno costruito un bel pezzo di consenso. E oggi è arrivata la conferma in una conferenza stampa un po' grottesca: «Lascio il consiglio comunale. Dal territorio mi è arrivata la richiesta forte di non lasciare l'ente Provincia. Ancora una volta metto davanti a tutto le istituzioni». Tradotto: non mi sporco le mani a fare l'opposizione, tante care cose a chi mi ha votato per fare il sindaco, potete continuare a chiamarmi presidente. Ecco, Pizzarotti ha vinto anche perché dall'altra parte c'era e c'è una classe dirigente così. In grado sì di gran rifiuti, ma al contrario. Intanto, in casa Pd volano come sempre gli stracci. Verifica. Riflessione interna. Autocritica. Analisi. Psicodramma. Il coordinatore provinciale Roberto Garbi e l'omologa comunale Lorenzo Dodi hanno gettato la spugna. Il partito è nella mani di un triumvirato che guiderà il popolo democratico verso un altro Egitto: la settimana prossima sono in programma le assemblee per eleggere i nuovi vertici. Nel frattempo, il dibattito interno si è fatto sempre più serrato, spuntano dissidenti ovunque. Ecco allora alcune voci dalle ultime riunioni molto psicoanalitiche: «Basta con i sondaggi interni per scegliere i partiti». E ancora: «Stop agli uomini scelti dall'Unione industriali e pompati dalla Gazzetta di Parma». E l'immancabile rivincita giovanilista: «Avanti le forze nuove, ma non troppo». In questo caos calmo è arrivata la prima timida reazione: «Facciamo un gruppo unico di centrosinistra in Consiglio, senza sigle di partito», ha proposto il consigliere Massimo Iotti. Basterà per rialzare la testa dopo la slavina grillina? Probabilmente no. Intanto, tolleranza zero verso quel ceto medio riflessivo che strizza l'occhio al nuovo che avanza: «O con noi o con loro», dicono i reduci della Caporetto emiliana. 


simone canettiere
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