lunedì 20 febbraio 2012

Parole sagge, leader mancato

Veltroni, le parole sagge di un leader mancato
 Peppino Caldarola - 20 febbraio 2012 
Che cosa manca, ovvero è mancato, a Walter Veltroni per diventare un vero leader della sinistra italiana? La domanda mi è venuta in mente dopo aver letto l’intervista che l’ex segretario del Pd ha dato ieri a Curzio Maltese su “Repubblica”. Ed è una domanda, finora priva di risposta, che ha accompagnato tutta la sua lunga carriera piena di acuti ma anche, appunto “ma anche”, di eclissi improvvise. Ieri Walter ha proposto alla sinistra di interpretare la fase contrassegnata dal governo Monti come uno spartiacque fra ieri ed oggi.Mentre molti nel Pd si ingegnano a marcarela distanza fra questo partito e il nuovo corso montiano, Veltroni invita a non consegnare Monti alla destra e lo giudica un riformista vero. L’elogio a Monti si spinge fino ad affrontare argomenti tabù come l’articolo 18, che Veltroni non considera intoccabile, e prefigura una nuova stagione politica in cui i vecchi partiti lasceranno il campo a nuove grandi aggregazioni contrapposte superando la contrapposizione fra liberismo e socialismo considerata l’ultimo retaggio del Novecento. Al suo partito Veltroni propone di cavalcare il riformismo montiano, di trovare la strada per superare le divisioni correntizie e di considerare aperta la gara, nel dopo Berlusconi, che vedrà contrapposta la proposta centrista di Casini a un partito democratico molto simile a quello che lui immaginò al Lingotto.Si può essere d’accordo o no con questa impostazione, ma indubbiamente essa affronta i nodi che sono di fronte allo schieramento progressista. Tuttavia forse neppure questa volta Veltroni riuscirà a varcare la soglia che divide i bravi politici dai grandi leader. Perché? I suoi critici di sinistra sostengono che tutto nasce dal fatto che Veltroni è il principale rappresentante di quella corrente nuovista che dopo la morte del Pci ha impedito ai partiti che ne hanno preso il posto di prendere una precisa fisonomia socialista. Walter, secondo questa lettura, è un figlio legittimo della stagione della Terza Via ed anche il prodotto più riuscito della scorciatoia mediatica degli ex comunisti. Ancora, i suoi critici lo accusano di improvvisazione culturale e di inaffidabilità personale. I suoi sostenitori sono stati invece più volte delusi dalla sua irresolutezza e dalla sua incapacità di dare battaglia. Pensatela come volete, ma provate, con me, a mettere insieme una biografia più equilibrata di questa eterna promessa della sinistra italiana. Veltroni nasce nel comunismo romano nella stagione berlingueriana. L’elemento etico sostituisce in lui le convinzioni ideologiche e la sua cultura, frutto anche delle radici familiari, lo mette in prima fila nella comprensione del ruolo dei media e dello spettacolo nella politica italiana. Nella covata berlingueriana è l’ultimo arrivato, privo di esperienze di direzione politica, in terza fila dopo Occhetto e D’Alema con cui stabilisce rapporti fraterni, poi franati. E’ D ‘Alema che lo impone alla guida dell’ “Unità” per metterlo in prima linea, come disse a me e a Sansonetti invitandoci a dargli una mano.Nel quotidiano è protagonista di una ridefinizione dell’immagine del giornale che lascerà il segno e promotore di iniziative editoriali che faranno epoca, i libri, le cassette, che tuttavia si riveleranno un disastro imprenditoriale. Sarà lui a pronunciare la frase più singolare per un dirigente del Pci quando rivelerà di non esser mai stato comunista, paradosso che ha scandalizzato tanti suoi compagni ma che per chi conosce il Pci non era così infondato. L’accusa di viltà che gli è stata rivolta assieme a quella di non avere un progetto politico non rende giustizia di scelte che invece sono state spesso controcorrente. E’ in suo nome che si svolgono le prime singolari primarie per il vertice del Pds che lui vince e che D’Alema rovescia con un voto del Comitato centrale. E’ lui che, messo al fianco di Prodi per fargli da cane da guardia del partito, si innamora del prodismo e sceglie la strada dell’Ulivo come soggetto politico. E’ lui che invita il suo partito a andare oltre l’Internazionale socialista. E’ ancora lui che si fa promotore ante litteram, con D’Alema e Fassino contrari, dell’idea del partito democratico. In mezzo ci sono i girotondi, la fuga dal partito prima della sconfitta del 2001 per il rifugio nel Campidoglio, il lungo silenzio. Poi, nato il Pd, Ds e Margherita scoprono di aver bisogno di lui per dare consistenza alla nuova creatura. Con il discorso del Lingotto cerca di dare sostanza alla nuova formazione, si inventa il partito a vocazione maggioritaria, si inoltra, nello scandalo generale, nel dialogo con Berlusconi sul bipartitismo. Perde elezioni già perse ma dopo poco tempo lascia il campo. E’ l’eterno vizio della fuga. Questa breve ricostruzione, assolutamente rigorosa nel racconto dei fatti, restituisce a Veltroni l’immagine di un leader che sa guardare avanti, speso assai più avanti del suo partito. Ma questa stessa ricostruzione conferma che il suo mancato decollo nella politica italiana è la conseguenza di un suo infantilismo inguaribile. Rubando una espressione che dà il titolo a una bellissima raccolta di racconti del giovane scrittore americano Adam Haslett, Veltroni non sa convivere con il “principio del dolore”. C’è chi anche in politica nella sofferenza, che è storia di sconfitte e di delusioni, trae la forza per crescere e chi, come Walter, nel timore del dolore si ritrae e torna a riproporsi quando altri hanno cercato di guarire dal dolore. Così accade che oggi di fronte a un Monti che sta mettendo l’Italia di fronte al suo principio del dolore per cercare il riscatto della sopravvivenza, Walter scopre la consonanza con questo progetto ma non dà garanzie personali. Fra lui e D’Alema è lui quello più coerente, ma è il secondo quello che ha saputo soffrire con più coraggio. Forse è passato il tempo per tutti e due. Ma la politica di domani non farà molta strada se non saprà ragionare sull’avventura dei leader di questo lungo inverno italiano. 
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