venerdì 30 settembre 2011

Appello verso il 15 Ottobre

di Giorgio Cremaschi
Il 1° ottobre, nell’assemblea autoconvocata a Roma al teatro Ambra Jovinelli, si prova a costruire uno spazio politico che oggi in Italia non c’è.
Questo spazio è quello di chi non solo vuole rovesciare il governo Berlusconi, giunto ai punti estremi della sua abiezione morale, politica e anche economica. Far cadere Berlusconi è condizione necessaria, ma non sufficiente, per affrontare la crisi italiana dal lato della libertà, della giustizia e dell’uguaglianza. Per riconquistare la nostra democrazia costituzionale, occorre anche scontrarsi con l’altro avversario che oggi abbiamo di fronte. Questo avversario è quello del governo unico delle banche e della finanza che, attraverso i diktat della Banca Europea e del Fondo monetario internazionale, sta imponendo in tutta Europa la distruzione dello stato sociale e della partecipazione democratica. (...) I parlamenti dei paesi più in crisi e più soggetti a speculazione, i maiali secondo il malevolo acronimo britannico P.i.i.g.s. (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), sono ormai soggetti a un commissariamento fallimentare che impone ad essi decisioni che non possono discutere. La schiavitù del debito diventa così la schiavitù della democrazia e i cittadini perdono il diritto a decidere sulle ragioni stesse che hanno fondato le libertà costituzionali: chi paga, quanto paga, perché paga.
In Italia tutto questo è offuscato dall’aria inquinata prodotta da Berlusconi e dal suo clan. La indispensabile purificazione dell’aria, come pare chiedere anche la Cei, renderà però ancora più evidente la necessità di costruire un’alternativa vera alle politiche economiche dominanti. Politiche economiche che oggi sono alla base delle scelte sia dei governi di destra, sia dei pochi rimasti governi di sinistra.
La Banca Europea e il Fondo monetario internazionale stanno imponendo ricette di liberismo radicale nella gestione della crisi, proprio quando il liberismo radicale è anch’esso in crisi profonda. L’intervento pubblico, che è indispensabile per tutti, viene finalizzato solo a salvare le banche e i loro profitti, mentre tutto il resto viene privatizzato. Da noi questo significa – ecco un altro vulnus della democrazia – che il responso del referendum sull’acqua, nel quale 27 milioni di italiani hanno chiaramente detto no alla privatizzazione dei beni pubblici, viene trasformato nel suo contrario. La maggioranza di governo e l’opposizione bancaria e confindustriale ad esso, si rinfacciano l’incapacità di privatizzare e liberalizzare a sufficienza. I contratti nazionali vengono distrutti e con essi il principio stesso della legge uguale per tutti. Perché due privati, un’azienda prepotente e un sindacato complice, sulla base dell’articolo 8 della manovra di governo, possono decidere di non rispettare le leggi sul lavoro. D’altra parte già l’accordo del 28 giugno aveva aperto la via alla riduzione del nostro sistema sociale, a un’insieme di relazioni aziendalistiche e corporative. Che poi sono il risultato di quei vincoli della globalizzazione che per primo Marchionne ha imposto con tutta la brutalità, e tutto il consenso politico possibili.
Tutti i costi della crisi vengono fatti pagare al lavoro dipendente, ai pensionati, ai disoccupati, ai poveri, le donne e i giovani pagano di più, l’ambiente sparisce anche come problema e nel nome degli affari le grandi opere devastanti, a partire dalla Tav, vengono rivendicate da destra e da sinistra.
Ebbene tutto questo sta passando senza che sia in campo una reale alternativa. Destra e sinistra si rinfacciano reciprocamente di essere incapace di “rassicurare i mercati”, mentre il problema di fondo sarebbe di rassicurare la grande maggioranza della popolazione che non è in grado di pagare un solo centesimo in più per questa crisi.
Bisogna mettere in discussione la macchina infernale del debito e della globalizzazione, altrimenti dalla crisi non si esce mentre si sprofonda nell’ingiustizia e nel degrado.
L’interesse medio sul debito pubblico italiano è oramai di 80 miliardi all’anno. Le catastrofiche manovre decise dal governo Berlusconi drenano 60 miliardi all’anno. Questo significa che in questo stesso istante noi paghiamo, anche con quello che non abbiamo, e non riusciamo neppure a far fronte agli interessi sul debito. Come sostengono tutti gli economisti di buon senso e come sottobanco dicono anche i governanti degli Stati Uniti, l’Europa non può autodistruggersi con la schiavitù del debito. Per questo occorre rimettere in discussione alla radice i trattati europei, la follia di una unione monetaria, senza nessuna comunità democratica, fiscale, economica, di diritti civili. Occorre un’altra Europa perché quella della globalizzazione, dell’’Euro, delle banche, dei patti di stabilità sta sprofondando nella crisi e nell’ingiustizia. Questa Europa è fallita. Per questo dobbiamo costruirne un’altra.
In tutta Europa ci si mobilita su questi temi, il 15 ottobre in tutta Europa si scenderà in piazza contro il governo unico delle banche e della finanza.
Solo in Italia non si riesce a far emergere questo conflitto. E questo perché Berlusconi ha avuto un doppio effetto negativo nel nostro paese. Il disastro della sua politica e lo stato confusionale che questa ha provocato in tutte le opposizioni. Come diceva Woody Allen: “Non litigate mai con un cretino, qualcuno potrebbe non accorgersi della differenza”. In tutta Europa ci si divide sulle scelte di fondo, in tanti paesi grandi e piccoli i cittadini sono stati chiamati a votare per decidere sul loro futuro. Ultima la piccola Islanda. Solo da noi la popolazione è considerata troppo immatura e viene costretta a delegare al palazzo il confronto e gli accordi su ciò che riguarda la propria vita e quella dei propri figli. Non siamo più disponibili a farci espropriare del futuro e della democrazia. Per questo ci incontriamo il 1° ottobre.

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