venerdì 4 maggio 2018

Meriggiare

“Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto…” come mi è capitato di fare in questo giorno di festa che per me, senza offesa per gli altri, resta una giornata con ben poco da festeggiare, dopo che in quel pomeriggio del 1° maggio del ‘94 Ayrton Senna si è spento a Imola. Allora mi è venuto in mente Eugenio Montale che studiavo da bambina a scuola e subito mi innamoravo di quell’umile elogio dell’osservare con quieta curiosità ciò che accade al di fuori di noi. E proprio “meriggiando” e commentando qua e là sul web, sono tornata sulla questione di questo ennesimo episodio della situation comedy “Ja a famo?” che questa volta ha colpito un’alta carica dello Stato italiano, appena eletta. Fake news o non fake news, di tutto un gran chiacchieraticcio stantio che ne è conseguito e che non smetterà fino al prossimo episodio, ho ripreso a fare le mie valutazioni personali su uno specifico settore lavorativo che in questo momento viene tirato in ballo e poi lasciato lì a traballare da solo: colf e badanti che fervidamente mi è venuto in mente di ridefinire “ausiliari domestici”, in quanto i termini “colf” e (l’orribile) “badante” sono talvolta restrittivi ma allo stesso tempo volutamente evasivi rispetto al significato delle mansioni realmente svolte. Anzitutto essendo queste figure professionali (attualmente molto de-professionalizzate, visto il loro inquadramento) veramente necessarie in svariate situazioni domestiche di anzianità, malattia, disabilità (e anche tutte e tre insieme, situazione tangibile, ne ho le prove) ma anche disagio generico fino a ogni tipo di situazione domiciliare che richieda un sostegno operativo, dovrebbero essere agevolate nella contribuzione (che al momento è bassissima quasi inconsistente) permettendo ai datori di lavoro la massima detraibilità fiscale, ovviamente su una scala ISEE di riferimento, non restrittiva. Inoltre trattandosi di un lavoro molto faticoso e logorante, con spesso poco tempo libero e poche possibilità di permessi, sgravando sia il lavoratore che la famiglia/datore di lavoro, bisognerebbe prevedere la possibilità di lavorare per un lungo periodo annuale ad esempio di 8 mesi, superati i quali si possa accedere all’indennizzo di disoccupazione (non se il rapporto lavorativo si interrompe prima mettendo in seria difficoltà la famiglia) ma con un mese di copertura ferie, e i restanti 3 mesi di disoccupazione, percepibile se si frequenta un periodo di formazione, seguito da un periodo di tirocinio, per finire ad un ultimo mese di inserimento lavorativo in contesto domiciliare. Il tutto potrebbe essere sovvenzionato per un terzo -ciascuno- dalla asl di riferimento, dal comune di residenza, e da fondi messi in campo da cooperative che si specializzano in questo settore (formazione, inserimento, gestione di “innesti” lavorativi). Diversamente il rapporto lavorativo può perdurare spontaneamente senza bisogno di ricorrere a una interruzione, ma vanno costantemente sostenute le famiglie con la detraibilità massima e i lavoratori con più tutele e contribuzioni, non più a carico quasi esclusivo delle famiglie, e con coperture per periodi di permessi, ferie, eccetera. Cogliendo la palla al balzo su una questione di principio che si riferisce al singolo accusato (Fico, se non si era capito), creando distrazione e fratture, si potrebbe fare un più intelligente (a mio unico avviso) swing politico traghettando l’attenzione dall’episodio in sé allo spunto riflessivo che facilmente ne consegue, rivelandosi un’occasione utile a chi ha la seria intenzione di governare questo paese. 
 Arianna Adanti