venerdì 5 maggio 2017

L'Era del Socialismo Social?

Che la società abbia riscoperto quel concetto di libertà, quella nuova rivincita di quel nuovo proletariato fatto di milioni e semplici cittadini, di quella “massa” che si riversa all’interno del web giornalmente, sembrerebbe assodato. Grazie a questa rivoluzione copernicana qualcuno potrebbe scorgere qualcosa che rimanda ad una presa di distanza dal comunismo banale e dogmatico degli anni 70 che ha salvato la mia generazione. Grazie alla lettura dei “quaderni dal carcere” di Gramsci, in cui si affermava che la via sovietica per dare potere al proletariato (e in questo caso si riferisce all’Italia) non poteva essere percorribile. Non voleva dire che la intendesse come svolta socialista, ma che si sarebbe attuata solo nel rispetto della libertà e delle regole democratiche, se il proletariato avesse auspicato a diventare l’apparato dirigente della post rivoluzione. Chiaro allora è che l'unica via percorribile sarebbe stata quella di stampo democratico. Lo stesso Carlo Rosselli al confino dichiarava : “ ...io non esito dichiarare che la rivoluzione socialista sarà tale, in ultima analisi, solo in quanto la trasformazione dell’organizzazione sociale si accompagnerà alla rivoluzione morale, cioè alla conquista, perpetuamente rinnovantesi, di una umanità qualitativamente migliore, più buona e più giusta”. Questo suo tendere a una società che si elevi sempre più, potrebbe rimandare alla mente quella similitudine con lo strumento che al di là del bene e del male, avrebbe dovuto, almeno nell’immaginario collettivo, aiutare l’umanità intera a migliorarsi: internet. Possiamo dichiararci quindi tutti social-socialisti”? Oppure siamo diventati con il loro uso, quel groviglio prigioniero del potere di cui parla Elias Canetti in “Massa e potere” ? Che a seconda del tipo di potere che aspira, manifesterà nei suoi confronti altrettanti tipi di atteggiamenti? Chi mira alla celebrità vuole solo essere gratificato dall’udire altri ripetere il proprio nome, chi alla fama è interessato solo a raccogliere branchi. Colui che ricerca il potere, raccoglie uomini allo scopo di farsi precedere o accompagnare da essi nella morte perché ciò che conta è la propria sopravvivenza, la propria immortalità. Sembra di leggere un saggio comportamentale sull’uso dei social e non datato 1960! Anche Claudio Magris, scrittore e saggista, fa notare che il metro per il successo su internet, sia sovente l’autopresentazione che sostituisce il contenuto, l’argomento. E se i bisogni fondamentali dell'uomo sono l'istinto di sopravvivenza e quello che sembra andare per la maggiore di sentirsi una parte di un tutto, ecco spiegato il bisogno impellente di essere sempre e ovunque connessi. Crediamo di avere una risposta a tutto, formuliamo teorie su qualsiasi argomento, spesso senza nemmeno verificare l’effettiva autenticità delle notizie che commentiamo o semplicemente la loro completezza. Ci si trova di fronte ad una superficialità dilagante che assume tratti sempre più aggressivi, come se tutta la rabbia accumulata, nella vita quotidiana, venisse vomitata attraverso i social. L'unico modo per contare qualcosa. Tutti scrittori e saggisti che quotidianamente si districano tra una bufala e una fake news, pur di dire la nostra, di contare, di esistere. Più di un secolo ci separa da Gustave Le Bon, quando scrisse il suo capolavoro, La psicologia delle folle, il vero precursore dell’epoca delle masse: dai partiti alle associazioni, dall’inconscio collettivo, alla mobilitazione delle masse. Ma dell’uomo moderno ma pur sempre “ scimmia nuda” dall’illuminante saggio di Desmond Morris del 1967, ora ci si trova a far parte di una “società liquida”, per dirla con il saggio attuale di Zygmunt Bauman, senza riferimenti reali ontologici identificativi. Possiamo quindi al giorno d’oggi identificare la “folla” di Le Bon con il web? In internet tutti, compresa la politica che era dapprima aggregante, sembrano essere opinion leader, attraverso i “mi piace”, le condivisioni e i tweet e i “retweet”. L’unica cosa che sembra differenziare la folla dal web, pare essere quella estrapolata dalla concezione di categoria kantiana di spazio e tempo. La folla virtuale del web non è presente nello spazio, è un aggregato di utenti che condivide separatamente soltanto un sentimento, un giudizio, un’opinione virtuale.Tanta libertà di espressione ma scarsa in azione. L’esatto opposto della folla reale che si vede e si tocca anche fisicamente. Il web è mediato da un codice binario quello dello 0/1, si/no, like/dislike, quindi una procedura già codificata a monte. In più il tempo nel web è ripetitivo, non dà spazio alla riflessione, perché si rimanda a un elemento immobile ma ripetitivo all’infinito. La frase ad effetto del leader carismatico, che aizza la folla nel momento presente, diventa oggi un tweet di 140 caratteri al massimo, uno slogan-post, incapace di generare grandi idee o immagini forti nel tempo. Semmai solo quella di suscitare nell’utente una reazione immediata. La folla virtuale è spettatrice degli eventi, giudica, condivide, disprezza. Siamo una massa informe di inquisitori e giudici, istigatori e provocatori, impossibilitati ad agire concretamente ma immersi nel “liquido limbico -virtuale”. Questa folla lascia dietro di sé inconsciamente a volte tanto sangue che non vede e del quale non si sente nemmeno responsabile. Proprio come sostiene Le Bon, allora sembra che sia il web che la folla hanno solo un’ideologia in comune, che è quella di poter agire indisturbata e scaricare il proprio fine violento. Entrambe si servono di un’esigenza fondamentale: la totale negazione dell’individualità soggettiva pensante e reale! 
L’INNOMINATO