venerdì 9 febbraio 2018

Si fa presto a dire....prima parte

Aiutiamoli a casa loro. Per prima cosa cerchiamo di sfatare alcuni miti. Nigeria, Guinea, Bangladesh, Costa d'Avorio, Mali, Eritrea Libia Senegal Algeria Sudan sono il vasto gruppo di Paesi da cui vengono per lo più i migranti, ma chi la fa da padrone, nei numeri, sono soprattutto gli europei dell’Est che non usufruiscono di certo delle rotte libiche. Secondo, lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, ritornello alquanto sbiadito nel dibattito politico di questa imbolsita campagna elettorale, che fa breccia nell’elettorato sembrando una norma dettata dal buon senso, ma che buttata lì, senza soluzioni credibili, ne fa emergere tutta la sua superficialità, solo per accaparrarsi due voti in più. Terzo, non dimentichiamoci, di tutti quei progetti di sviluppo proposti “in loco” da tante ONG serie, che rischiano comunque di essere gocce nell’Oceano se non si tiene conto della macro economia mondiale che spinge all’esodo molte persone e non di certo le più povere. Quest’ultime infatti, stimate in circa 5 milioni di individui, stanno morendo nella striscia del Sahel per mancanza di acqua e cibo, nel disinteresse più totale anche dei media. Mentre quelli che stanno emigrando vengono per lo più da stati emergenti di area francofona. Tutti gli accordi bilaterali nazionali ed europei, quelli stipulati anche da Minniti, con il governo provvisorio delle tribù libiche, hanno dimostrato tutta la loro fragilità e inconsistenza, con la conseguente recrudescenza di lotte intestine, volti solo a tamponare temporaneamente gli sbarchi. Tanto che, se davvero volessimo trovare le soluzioni allo slogan “aiutiamoli a casa loro”, sforzandoci di guardare al di là dei nostri problemi occidentali, le potremmo trovare nel prorompente movimento di idee culturali ed economiche che dai primi anni ‘70 grazie a scrittori come Léopold Sédar Senghor, portarono al concetto di “negritudine”, concetto che sembrava superato, ma che attualmente si è riproposto nella delicata situazione politica senegalese,grazie alle azioni di protesta dell’'attivista panafricano Kemi Seba, incarcerato per un giorno dalle autorità, per ordine di Parigi perchè accusato di aver bruciato in un comizio banconote del Franco CFA. Seba è balzato alle cronache come iniziatore del movimento di liberazione dal dominio economico della Francia. Agitatore e attivista politico nutritosi di letture che vanno da Malcolm X a Nietzsche, dai testi del rapper 2Pac, al primo ministro congolese Patrice Lumumba fino a Winnie Mandela”. Nato a Strasburgo studia in Francia e nel 2011 si trasferisce definitivamente in Senegal, diventando capo del New Black Panther Party (organizzazione politica afroamericana istituita a Dallas ma non riconosciuta dalle ex Pantere Nere) nonché opinionista nella trasmissione Le Grand Rendez-vous, la più seguita d’Africa. Inizia a collaborare con scrittori bianchi contro le elite passando agli occhi dell’opinione pubblica come fascista nero in quanto non ha mai nascosto il suo suprematismo nero e il suo antisionismo. Ecco alcune sue dichiarazioni: ”le persone possono avere il colore della pelle diversa ma che lo si voglia o meno i popoli sono diversi fra loro e bisogna rispettarli”, “Nell’Ottocento le forze progressiste giustificavano il colonialismo nel nome della civilizzazione delle razze inferiori, oggi invece i cosiddetti anti-razzisti sono i primi a sostenere le guerre in Medio Oriente e in Africa”, “La convivenza arricchisce, ma la coabitazione forzata può portare alla distruzione”. Tutti motivi che lo hanno eletto portabandiera della “remigrazione”, termine estrapolato dal suo libro “Supranegritude”, in cui incoraggia l’emancipazione dell’intera comunità africana attraverso i suoi tre principi di autodeterminazione, anti-vittimizzazione e virilità popolare. Kemi Seba è in prima fila nell’abolizione del Franco CFA, la moneta imposta dalla Francia a 14 ex colonie africane: Mali, Benin, Camerun, Costa d’Avorio, Ciad, Niger, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon, Guinea-Bissau, Guinea Equatoriale, Senegal e Togo. Sostenendo che il Franco CFA in vigore dalla fine della II guerra mondiale, è il mezzo con cui la Francia continua a dissanguare l’economia delle sue ex colonie, rimanendo sotto la tutela del ministero francese delle Finanze. il valore del Franco CFA è ancorato a quello dell’Euro, e quindi impedisce agli stati africani di svalutare le monete locali per rilanciare l’economia e le esportazioni. Come non notare situazione simile ai Paesi nell’Unione Europea come l’Italia? (segue)
Fabrizio Tinazzo