sabato 10 febbraio 2018

Si fa presto a dire...seconda parte

"Aiutiamoli a casa loro". Da quando la Francia ha concesso l’indipendenza alle sue colonie africane, all’inizio degli anni ’60, il CFA è diventato il franco della “comunità finanziaria africana “ in Africa occidentale, e il franco della “cooperazione finanziaria in Africa centrale”. I trasferimenti di capitali tra la zona francofona e la Francia sono liberi per cui la Francia può continuare ad avere materie prime africane e le sue imprese possono investire nella zona senza rischi di deprezzamento monetario, grazie alla libera circolazione dei capitali, che rimpatriano i profitti in Europa senza ostacoli. Le multinazionali ne approfittano perchè il sistema permette di garantire guadagni ai colossi europei che non pagano niente per questa garanzia. Sono i cittadini africani che attraverso il cambio del Tesoro francese, pagano la stabilità del tasso. Tutto viene regolato tra la banca centrale francese e due banche centrali locali che non sono nazionali, ma regionali. Prima della decolonizzazione la Francia ha diviso i suoi possedimenti africani in due zone, la comunità economica dell’Africa occidentale e quella dell’Africa Centrale. Territori dai quali importa materie prime a seconda della domanda delle sue industrie ed esporta beni e servizi a caro prezzo. Solo dal Niger, la Francia prende l’uranio dal quale genera il 25% del suo fabbisogno elettrico, ma il prezzo lo fa Parigi e ai nigeriani da sempre restano gli avanzi, soprattutto quelli radioattivi, ecco spiegata l’autosufficienza energetica francese. Depredano mezzo continente acquistando materie prime a prezzi stracciati. Questa legge del contrappasso di Kemi Seba in stile africano è un vero ritorno a quel panafricanismo nato agli inizi del 900 per dare vita ad una Unione Africana in grado di superare le differenze identitarie e rilanciare un “ritorno all’Africa”. Prosegue Kemi Seba:“Cacciare dalle nostre terre le basi militari straniere, le ONG occidentali (o altre) che dicono di volerci aiutare per poi essere in grado di comandarci. Cacciare le multinazionali. Sradicare la cattiva governance, il nepotismo, la corruzione, l’ ostracizzazione della matrice dell’umanità che sono le nostre madri, le nostre donne, le nostre sorelle” Resta il fatto che se si vuole veramente concretizzare lo slogan aiutiamoli a casa loro, bisogna andare a rivedere le condizioni dell’Africa del nord dopo più di mezzo secolo dalla decolonizzazione. Dire veramente aiutiamoli a casa loro sarebbe come dire di voler rinunciare a una buona parte dei nostri profitti, in quanto la vita delle ex colonie europee nell’Africa Sub-sahariana è misera anche nei paesi che in teoria sembra abbiano un PIL simile a quello di molte economie occidentali o che hanno ingenti riserve minerarie o che esportano buona parte della loro produzione agricola e forestale ma che ancora presentano servizi essenziali inesistenti o insufficienti per cui per chi vuol cercare maggior fortuna non resta che emigrare. Lá dove gli indici di crescita sono tutti nelle mani di persone che non rispondono ai loro cittadini e che sulla loro pelle realizzano grandi profitti. Cumulano patrimoni frutto di raggiri e rapine del tutto simili a quelle praticate dai colonizzatori europei, i discendenti dei quali (cioè noi) non hanno ancora perso il vizio di voler insegnare agli africani il “modo” di diventare “civilizzati”come lo siamo noi.
Fabrizio Tinazzo