Roberto Urbinati
martedì 8 marzo 2022
La Scelta
Il clangore è troppo forte,
le parole di pace paiono afone.
E non serve neppure gridarle a squarciagola;
i tuoni maligni s’addensano, inesorabili,
come nembi all’orizzonte,
come some sulle spalle.
Chi ancora rivendica un pensiero di pace
viene servito lo sguardo dell’accusa, della presunta colpevolezza.
Ecco la vera condanna a cui siamo destinati,
si rinnova più vivida che mai,
in quei toni, nell’incapacità di credere all’umanità, nella incapacità
di distinguere il vero coraggio dalla ignavia.
La guerra non ha parti e non può avere partigiani!
E cos’è, cosa significa essere uomini se non la convinzione:
che mai nessun fanciullo deve essere costretto e chiamato a pagare
per le colpe dei padri? Siano gli uni o gli altri. Ma ci scopriamo indifesi, proprio come bambini!
Quando si vanifica questo obbiettivo,
e la resa diventa la nostra prospettiva, o quanto ci si offre dal belare all’unisono delle greggi, diventa puerile parlare anche di Dio.
Costretto a rassegnarmi di tanta bellezza ancora una volta
penso che siamo stati capaci a carpirne solo la disumanità,
vanificando l’immenso premio nella disinvoltura con il quale lo neghiamo.
Ecco che il ruolo della cultura rassegna nei fatti medesimo fallimento
e clamorosamente sciocco è il conclamarsi delle convinzioni, delle appartenenze, la rivendicazione dell’attenuante nel raccontarsi pro bono pacis d’“averci provato”. Ci auto-assolviamo?
Sta tutta qui la sconfitta. La si può afferrare a piene mani tant’è tangibile:
l’uomo non cambierà mai! Un altro mondo non è possibile.
Non ci rimane che perseverare nella fredda illusione
Nella disperata attesa che anche il nostro imbarazzante premio
possa finalmente terminare come è stato per i nostri nonni,
da cui abbiamo saputo cogliere solo la parte ferina
e buttare, come non fosse servita a nulla o mai esistita, la parte bella!