martedì 8 marzo 2022

La Scelta

Il clangore è troppo forte, le parole di pace paiono afone. E non serve neppure gridarle a squarciagola; i tuoni maligni s’addensano, inesorabili, come nembi all’orizzonte, come some sulle spalle. Chi ancora rivendica un pensiero di pace viene servito lo sguardo dell’accusa, della presunta colpevolezza. Ecco la vera condanna a cui siamo destinati, si rinnova più vivida che mai, in quei toni, nell’incapacità di credere all’umanità, nella incapacità di distinguere il vero coraggio dalla ignavia. La guerra non ha parti e non può avere partigiani! E cos’è, cosa significa essere uomini se non la convinzione: che mai nessun fanciullo deve essere costretto e chiamato a pagare per le colpe dei padri? Siano gli uni o gli altri. Ma ci scopriamo indifesi, proprio come bambini! Quando si vanifica questo obbiettivo, e la resa diventa la nostra prospettiva, o quanto ci si offre dal belare all’unisono delle greggi, diventa puerile parlare anche di Dio. Costretto a rassegnarmi di tanta bellezza ancora una volta penso che siamo stati capaci a carpirne solo la disumanità, vanificando l’immenso premio nella disinvoltura con il quale lo neghiamo. Ecco che il ruolo della cultura rassegna nei fatti medesimo fallimento e clamorosamente sciocco è il conclamarsi delle convinzioni, delle appartenenze, la rivendicazione dell’attenuante nel raccontarsi pro bono pacis d’“averci provato”. Ci auto-assolviamo? Sta tutta qui la sconfitta. La si può afferrare a piene mani tant’è tangibile: l’uomo non cambierà mai! Un altro mondo non è possibile. Non ci rimane che perseverare nella fredda illusione Nella disperata attesa che anche il nostro imbarazzante premio possa finalmente terminare come è stato per i nostri nonni, da cui abbiamo saputo cogliere solo la parte ferina e buttare, come non fosse servita a nulla o mai esistita, la parte bella! 
Roberto Urbinati