giovedì 29 marzo 2012

Per una Questione di Rispetto

Chiedere le dimissioni di un sindaco è sempre un fatto molto grave, che presuppone un forte scollamento tra la città e il suo primo cittadino. Chiederle è un gesto di definitiva rottura, di lacerante conflittualità, di insanabile sfiducia. Certo, proprio perché è un gesto grave, gravi e definitive e straordinarie devono essere le ragioni del suo allontanamento. Ragioni giudiziarie, ragioni etiche, ragioni politiche, finanche ragioni personali. Tutte logiche che presuppongono comunque un percorso, una lunga sequela di passaggi e di prove capaci di giustificarne la richiesta o la pretesa. Riflessioni che richiedono anche un dibattito politico, sia all’interno dei partiti che lo sostengono sia nella città, attraverso le sue espressioni e momenti di rappresentanza sociale e civile, che lo ha eletto. Una decisione definitiva, sofferta, difficile, complessa, quindi. Ma c’è un momento, uno solo, in cui chiedere le dimissioni di un sindaco è un atto dovuto di rispetto alle istituzioni che non ha bisogno di troppe parole, né di logoranti esternazioni o attacchi. E' il  momento in cui viene meno la possibilità di giudizio. Quando cioè si sono abbandonati i contorni della serietà e della sobrietà del ruolo, per lasciare spazio al furbo e becero tatticismo, alla trovata, all'espediente, al sotterfugio, allo stratagemma. Quando, insomma, l’operato del sindaco perde i suoi paradigmi istituzionali e diventa caos, diventa contraddizione, diventa antinomia, diventa bugia, trucco, dileggio  e precipita nella palude dell’incoerenza istituzionale. Solo in questo caso, un cittadino, un qualsiasi cittadino, può alzare le mano e dire: “ non mi rappresenti più", senza dover aspettare che sia la politica con i suoi riti e le sue procedure a farlo! Perchè  non è questione di scelte, di fiducia negata o di fiducia concessa, di battaglie o schieramenti politici, né tanto meno di visione o di divisione politica, meno che meno di progetti o di idee, è solo una questione di rispetto. Di quel reciproco rispetto, che sta alla base della delega ricevuta, e che obbliga, più che presuppone, una rigida osservanza della responsabilità, degli obblighi che derivano dalla posizione che un sindaco occupa, dai compiti, dagli incarichi che si è assunto. Un reciproco rispetto che si traduce in dovuta chiarezza e in obbligata trasparenza, in quella dignità e in quel prestigio che quella fascia tricolore, ieratica e lucente, gli porta in peso e in dote. Elementi che un sindaco, deve trasferire sulle istituzioni che governa, proteggendole dalla umiliazione, e su quanti, eletti come lui a rappresentare la città e il suo nobile interesse, si sono assunti con lui l’onere e l’onore di governo, impegnandosi a preservarli da ogni mortificazione e difendendoli dal pericolo dello svilimento, dal pubblico discredito e dall’oltraggio. Ma soprattutto guardandosi, infine, bene dall'offenderli, ridicolizzandone, inettitudine e peso, agli occhi della città e dei loro concittadini. Il trafiletto con cui oggi il Resto del Carlino riferisce che le richieste di modifiche al progetto del TRC del Comune di Riccione, fermamente assistite da una vincolante delibera di Consiglio Comunale, sono state rigettate, (senza rivelare, tra l'altro, il patetico tentativo di rimediare alla bocciatura con la "fraudolenta" ed improvvisata richiesta di immediata approvazione di una variante sostitutiva al ribasso, che lunedì, nel corso della riunione di maggioranza, i consiglieri si sono visti proporre, in silenzio, all'interno della voce, Varie,Eventuali dell'odg, come se si trattasse di ordinaria amministrazione o di cambiare la marca di caffè nelle macchinette del Comune), è un fatto per nulla marginale. Per i suoi contorni, ma soprattutto per il suo peso politico che è esiziale. E’ di fatto il segnale indelebile e sconvolgente che la scorrettezza aveva, in quei lunghi giorni di polemica e di contestazione, trovato riparo e asilo nella già paventata ignavia ad affrontare quel problema che se pur complesso, meritava un miglior e forse più attento giudizio, come tutta la città e molti dei consiglieri di maggioranza a voce alta richiedevano. Quando, quel 4 agosto, per uscire dalle quelle pressioni della città ma soprattutto dai fermi condizionamenti e dalle insopportabili pressioni del suo partito, ha costretto il Consiglio Comunale, così lacerato al suo interno, ad approvare, in pieno tumulto di coscienza, quella delibera-farsa delle migliorie e delle varianti del TRC a beneficio di Riccione, garantendo che le varianti che si apprestavano a votare, ritenute nel dispositivo pregiudiziali al via libera all'opera, erano sostenute da un preciso e sottoscritto impegno e accordo siglato tra lui e la presidenza della Provincia, con la condivisa responsabilità dell’AM, il Nazareno è venuto meno al suo ruolo e al rispetto che a questo incarico egli deve. Ha detto una bugia, ha raccontato una frottola, ha usato un infantile artificio per uscire da un impasse. Mancando di ripetto alla sua città. Ma, quel trafiletto, dice anche che ha ingannato i suoi Consiglieri, che li ha usati come scudo per quella sua inadeguatezza che non lo ha mai abbandonato. E adesso, con quel cambio di variante da approvare al volo, persino, li offende, così come con la mancata capacità di far valere i diritti alla città, aveva offeso i suoi cittadini negando loro strumentalmente il Referendum. Il “gioco delle tre carte” è un misfatto, cialtrone e terribile, è una truffa, un inganno, una frode. Il quel gesto, in quel sotterfugio, in quella trovata, c’è lo stesso rispetto, la stessa dignità che si incontra nei tavolini volanti delle stazioni di servizio di una qualsiasi autostrada, in tempo di esodo estivo. Ecco, mi viene da dire che forse a Riccione è ora di ricominciare con un nuovo racconto". 
alberto nardelli