martedì 3 aprile 2012

Perchè?

Perché a Masiello deve essere negato un giusto processo? Torna il calcio scommesse, con la rivelazione di un autogol in cambio di soldi. E, puntuale, il presidente della Figc Abete chiede di “fare presto”. Ma perché? Un processo in Italia dura otto anni e invece nello sport si giunge a verdetti affrettati al solo scopo di tacitare l’opinione pubblica. Almeno fino al prossimo scandalo. Insomma, secondo l’accusa Andrea Masiello si è preso una barcata di grana per fare questo gol nella sua porta (il calcio è una gran brutta bestia, sul momento non ci avrei visto un’evidente malafede). In un verbale, il difensore avrebbe anche ammesso. Il presidente della Figc Giancarlo Abete ha ripetuto la frase di rito in questi casi: «Fare presto». Immagino che il destinatario finale sia la magistratura, e chi altro sennò? Ma che cosa vuol dire «fare presto», forse chiudere i processi in un tempo ragionevole? Questo è l’auspicio di ogni cittadino, mica un’esclusiva del cittadino-tifoso. Solo che con la giustizia sportiva c’è un problema: non esistono le minime garanzie per gli imputati, non esiste codice, non esiste alcuna ragionevole certezza di un «giusto processo. La procura federale auspica che le carte di questo nuovo scandalo piovano sul suo tavolo entro la fine di aprile, in modo da istruire un procedimento sufficientemente veloce per definire i futuri campionati. Ma se per la giustizia penale il cittadino Tizio o il cittadino Caio sono innocenti sino al terzo grado di giudizio - sette/otto anni di processi in tutto - perché il giocatore Tizio o il giocatore Caio possono essere condannati (senza praticamente remissione, giusto un ricorso che non avrà effetti pratici) appena in una manciata di giorni? Fare in fretta non significa fare bene, questo ormai dovremmo averlo capito. Nel calcio si è sempre ragionato per approssimazione, e su questa approssimazione condivisa si fonda l’assoluta certezza che tutto, alla fine, scorrerà. Verso dove ha poca importanza. Nelle istituzioni sportive non c’è alcun dibattito su come sviluppare e dibattere un problema culturale che porta il nostro calcio a imbattersi – ciclicamente – nello scandalo delle partite comprate e vendute. Altrove, nel mondo, qualcuno si è posto invece questo problema. In certi Paesi come l’Inghilterra, dove la scommessa, diciamo così, ha un suo senso, non risultano partite comprate o vendute. Non ve n’è l’attitudine o evidentemente manca il fascino criminale. Eppure gente che delinque ce ne sarà anche lì. Possibile che siano più «etici» di noi? Beh, cominciamo a porci questo interrogativo. La metafora del tappeto e della polvere è assolutamente cosa nostra. Noi alziamo il tappeto e buttiamo sotto la polvere, sapendo benissimo che ci metteremo semplicemente in attesa di una prossima volta. Che regolarmente arriverà. Il processo sportivo è un meraviglioso tappeto sotto cui depositare ogni nefandezza, compreso quell’atteggiamento paternalistico dei nostri dirigenti di società rispetto ai loro giocatori. Da coccolare, da giustificare, da considerare come i veri padroni del vapore. Quale controllo sociale esercitano sui loro campioni questi ridicoli dirigenti, quale funzione educativa toccherebbe agli allenatori, altro splendido esempio di omertà professionale? Qui, cari signori, moralmente c’è almeno il reato associativo. 
michele fusco
linkiesta.it