venerdì 28 dicembre 2018

Primo Attore

L’altra sera, in canonica, mentre stavo leggendo vecchi articoli di Avvenire riguardanti l’impossibile connubio tra cattolicesimo democratico e materialismo individualista radicalcomunista, mi sono addormentato e ho iniziato a sognare… Nel sogno vedevo un omino azzimato, dai gesti misurati e garbati, che si muoveva sul palcoscenico di un teatro sfavillante di ori, stucchi e lampadari posticci, in compagnia di teatranti suoi pari. La magia delle luci soffuse, della penombra e di una sapiente regia contribuivano a creare una degna cornice per la recita del primo attore, che gesticolava e modulava la voce narrando storie e situazioni fantastiche, recitando un copione sapientemente scritto da abili mani e interpretando il proprio ruolo in modo così efficace da far sembrare vere le “patacate” che raccontava. Ai suoi piedi, una platea plaudente, ascoltava rapita le sue parole, come si ascolta un pifferaio magico e, in prima fila, la claque di amici che lo aveva nominato capocomico, pronti a sostituirlo sulla scena al primo errore o al primo sgarbo. L’omino parlava, si accalorava e piangeva muovendosi con leggerezza e maestria, raccontava di piazze e di algoritmi, di piada con i sardoni, di Fellini e di ospitalità romagnola, di luoghi di incontro e di ritrovo, di teatri che dialogano con i castelli, di un paese dei balocchi insomma buono solo per i gonzi e gli sprovveduti. Le parole uscivano a ruota libera, realtà e fantasia si confondevano in quel teatro di plastica e non facevano breccia su una città ormai indifferente, svuotata dai suoi residenti, dove le bevute e gli happy hours scandivano i ritmi di un’esistenza segnata da ben più concrete preoccupazioni. Così, inaugurando nuove piazze nate cento, mille anni fa e lodando le gesta di se stesso, condottiero alla conquista di un mondo vuoto e vacuo, maggiormente vicino agli algoritmi dei grandi centri commerciali a lui più consoni, l’omino pareva non accorgersi che parlava di una realtà tutta sua e attendeva applausi e consensi che tardavano ad arrivare, forse rallentati da quel mare di debiti che grava sopra ogni Riminese. Di soprassalto, di fronte a tanta sfrontatezza e supponenza, mi sono ridestato e ho pensato… chissà che il suo pubblico incantato da due lustri di “patacate” non si svegli e decida finalmente di cambiare in un sol colpo attore e compagnia. 
 Don Camillo