venerdì 30 dicembre 2011

Che Peccato

Che peccato che una città con una dotazione naturale invidiabile, e per certi versi unica, come Rimini, si sia ridotta a dissertare sulla possibile nocività dei reflui fognari, da decenni scaricati a fil di bagnasciuga, per la salute dei suoi cittadini e per l’ economia turistica. Che peccato aver considerato per troppi lustri il calcestruzzo come l’unico conio spendibile nei rapporti tra economia e politica, smarrendo così nel tempo la capacità, da parte del pubblico ma anche del privato che conta, di immaginare e progettare contenuti che non abbiano, alla fin fine, implicazioni ed esiti immobiliari. Nell’era di Google e Facebook, in presenza della pù grande rivoluzione dopo quella industriale, Rimini é sostanzialmente inchiodata sul mattone, e, quello che é peggio, dopo anni di “malta e cazzuola” eletti a fine e non già mezzo per lo sviluppo urbano, la città non sembra più in grado di esprimere figure, sia nel publico quanto nel privato, capaci di guardare al futuro con un approccio ed una  progettualità moderni; in compenso siamo diventati tutti esperti di normative e cavilli edilizi, superstandard, RUE, POC, concessioni e piani particolareggiati, decolli ed atterraggi immobiliari; insomma, questa é la città del dio mattone, che, in tempi in cui le gru e le betoniere prendono la ruggine sui piazzali, non sa più a quale santo votarsi,  perché non ha saputo coltivare, in tempi di vacche grasse, il vero patrimonio di una comunità: le sue intelligenze ed i suoi saperi. Che peccato aver trascurato per troppo tempo i mille piccoli problemi cittadini in nome di grandi visioni, oggi diventate mera chimera e, beffardamente, persino impiccio burocratico. D’altro canto invece la risoluzione dei problemi di piccolo cabotaggio, e cioè delle beghe spicciole di chi vive e lavora in città é diventata, complice la mancanza di un quadro normativo chiaro, merce di scambio per i professionisti dell’inciucio.  Non ci stupiamo, dunque, che nelle pieghe della discrezionalità e dell’arrogante e cinico menefreghismo, cifra distintiva del potere cittadino in tutte le sue articolazioni e sfumature, si siano aperte un varco le famiglie del crimine organizzato; mentre le amministrazioni, le categorie economiche ed i professori stavano seduti a tavoli di improbabili “futuri strategici”, il tessuto economico e sociale della città si é progressivamente sfilacciato e ha lasciato campo libero al degrado: ambientale e sociale.Che peccato aver lasciato che l’avidità, il miope settarismo e interessi pulviscolari prendessero il sopravvento – depotenziandola -  sulla pluralità delle proposte e delle istanze cittadine non allineate con i diktat della politica e dell’economia di palazzo, finendo per fiaccare persino la capacità da parte di amministratori e categorie economiche di immaginare qualcosa di diverso dalle meschine logiche di parte, di saper distinguere tra ciò che é giusto e ciò che, nel migliore dei casi, é solo “opportuno”. Che peccato che una città come Rimini, protagonista di una lunga e irripetibile stagione di fortune turistiche, crocevia di importanti flussi internazionali, non sia stata capace di lasciarsi contaminare dalle culture che l’hanno letteralmente invasa, finendo invece per barricarsi dietro ad un provincialismo suicida, prigioniera di un incantesimo che é diventato, col tempo, inconsapevole coazione a ripetere: le stesse stanche frasi di circostanza, gli stessi riti, gli stessi errori, lo stesso stucchevole(e peloso..) ottimismo. Che peccato, infine, che chi dice le cose come stanno, senza ipocrisia o secondi fini, senza infingimenti e piaggeria, sia considerato un marziano, quando non un disfattista al soldo di qualche signoria avversaria. Ma i disfattisti, com’é evidente (e troppo spesso colpevolmente sottaciuto), sono semmai coloro che hanno contribuito a disfare, appunto, questa città, e non quelli che da tempo lanciano l’allarme. Sapete come si dice: non c’é peggior sordo di chi non vuole (e, alla lunga, non sa più) sentire. Perciò, io, dopo 12 anni, da Rimini me ne sono andato. Però che peccato. 


 Daniele Sassi