domenica 6 dicembre 2015

Siamo finiti

Stanno scorrendo fiumi di inchiostro sulla questione islamica, sul terrorismo, sull’immigrazione, sull’integrazione e sull’incontro/scontro di civiltà. Da settimane assistiamo a dibattiti, talk-show, interviste, dichiarazioni e siamo bombardati di informazioni e opinioni di ogni sorta. Anche attorno alle più assurde si costruisce un’ipotesi o una verità relativa. E ci si scontra, ci si accapiglia come in qualsiasi tribuna elettorale alla quale assistiamo da vent’anni a questa parte: atei, cattolici, agnostici, razzisti, buonisti, garantisti, europeisti, nazionalisti, moralisti e perbenisti e tanti altri “isti” tutti aggrovigliati in un’orgia di urla ed insulti reciproci per tentare di dare una risposta a quello che è ormai una realtà, prima ancora che un problema. Guardando quello che sta succedendo mi viene in mente un bellissimo film, In nome del Papa Re, ambientato a Roma pochi giorni prima della caduta dello Stato Pontificio, dove nella magistrale scena della lettera, Monsignor Colombo da Priverno, interpretato da Nino Manfredi, si rivolge al suo “perpetuo” Serafino dicendogli: “ Serafì, quì non finisce perché arrivano gli italiani; quì arrivano gli italiani proprio perché è finita”. E di fronte ad un’Italia, anzi un’Europa, ormai smarrita tra banche e spread, dove non solo i valori religiosi sono messi in discussione da qualche urlatore nostrano frustrato e privo di cultura, ma dove gli ideali illuministi vengono oscurati dalla nostra incapacità di creare un pensiero europeo del terzo millennio, proprio lì capisci che è finita e che altre culture e altri credo religiosi rispetto a quello su cui si basa la nostra civiltà, venendo in Europa, trovano dei vuoti giganteschi che non possono far altro che colmare, anche solo con la loro presenza, le loro regole, la loro cultura, la loro fede. Già, perché la spasmodica ricerca del benessere ci ha offuscato la mente e confuso le idee, tanto da non riuscire a trovare oggigiorno tre nomi che possano definirsi pensatori europei del XXI secolo. Di più! Una strana cultura ateista camuffata da laicità (che nulla ha a che vedere con l’intelligenza atea e degli atei), ha tentato un’operazione contraria a qualsiasi nozione di antropologia, cercando di sradicare dalle aggregazioni umane l’aspetto religioso, segando così le radici più recondite della nostra pianta. Ma i musulmani che vivono o arrivano in Europa, giustamente, non hanno nessuna intenzione di farsi creare questo vuoto nella loro dimensione umana e probabilmente ci guardano con compassione. E compassione suscita quel povero vescovo di Padova, mesto e spaurito davanti al microfono del giornalista mentre dichiarava a proposito delle nostre tradizioni: “Io farei tanti passi indietro pur di mantenerci nella pace e pur di mantenerci nell'amicizia". Simbolo di una Chiesa in estrema difficoltà, figlia di questo tempo e con gli uomini che questo tempo le da, Monsignor Cipolla, così si chiama il prelato sopravvalutato per il ruolo, non chiede di camminare insieme alle altre culture ed alle altre religioni verso la costruzione della pace, ma si dice pronto a far fare un passo indietro alla nostra cultura e alle nostre tradizioni pur di mantenere la pace. Chi ti chiede di fare passi indietro non vuole la pace, e dispiace che Cipolla non ci arrivi; ma per fortuna quelli che chiedono di fare assieme tanti passi in avanti ci sono, anche tra le altre confessioni religiose. Parafrasando Manfredi, quì non siamo finiti perché prevalgono le altre culture, qui prevalgono le altre culture proprio perché siamo finiti. 
 E. Canzi