domenica 18 giugno 2017

Tonino non rassicura

Non rassicurano le dichiarazioni di Tonino Bernabè di Romagna Acque che garantisce acqua disponibile a fini civili e turistici mentre la nostra agricoltura è in emergenza e i nostri fiumi diventeranno nuovamente deserti di sassi. Le deroghe ai prelievi irrigui che puntualmente vengono richieste e concesse dal Ministero e dalle autorità regionali avranno nuovamente come esito la desertificazione dei nostri fiumi e del nostro ambiente violando specifico divieto di legge risalente al 1988 che prevede la tutela del deflusso minimo vitale. I lunghi chilometri di secca che ogni hanno vediamo nel nostro Marecchia e nei fiumi provinciali, oltre all'impoverimento delle falde acquifere, dimostra quale sia il grado di interesse o la capacità di intervento dei numerosi organi istituzionali preposti alla tutela dell'ambiente e della risorsa idrica. Enti che condannano la nostra agricoltura alla marginalità e il nostro ambiente alla siccità in palese violazione di legge e degli scopi per cui sono stati istituiti. Anche quest'anno, come ogni anno ormai da lungo tempo, si riesce a fare scarsità di quanto invece abbonda. La mancanza di copiosa acqua, ricca agricoltura e florido ambiente è dovuta principalmente alla cattiva gestione della risorsa e sarà inutile sperare in quella del Po del Canale Emiliano Romagnolo in quanto anche il grande fiume risulta essere in cronica astinenza d'acqua non da oggi, senza toccare il tema della qualità. Quello che va rivisto è il ciclo dell'acqua che da aperto deve diventare integrato e chiuso. Si deve superare la visione che mette al centro solo gli interessi della costa che vede tutti gli sforzi finalizzati alla separazione delle fognature per evitare gli scarichi fognari in mare. Si deve intervenire con una visione integrata del ciclo delle acque di cui gli interventi di bonifica della rete fognaria riminese ne sono solo uno degli aspetti. Se gestiti senza una visione integrata provinciale rischiano di essere costosi e non pienamente efficaci. Nella nostra provincia di Rimini la siccità colpisce proprio quando più alta è la disponibilità idrica. Infatti in estate il solo depuratore di Santa Giustina produce oltre trecentomila metri cubi di acqua al giorno, una portata superiore a quella del fiume Po in periodo di secca. E' stato inoltre completamente disatteso l'obiettivo del riuso delle acque previsto durante l'ampliamento iniziato oltre un decennio fa. Accanto a questo si deve rilevare come la politica di concertazione dei trattamenti fognari a Santa Giustina e di dismissione dei depuratori minori e non solo (Colletamento di Bellaria, Poggioberni, Verucchio, Coriano) abbia privato l'entroterra di quella che poteva essere una importante disponibilità di acqua depurata dispersa e disponibile sul territorio. L'acqua dei nostri fiumi svolge molte funzioni primarie per l'ambiente e non ultima quella di mantenere le falde acquifere ricche e rifornite. Necessita che viene sottolineata anche dal progetto della Cava Incal trasformata in bacino di ricarica delle falde in prossimità dei pozzi di prelievo del nostro acquedotto cittadino. Questo progetto si alimenta dell'acqua del Marecchia ed è strategico per la differenziazione della risorsa a fini civili. Oggi l'acqua depurata a molti chilometri dalla costa viene intubata e svernata o pochi metri dalla foce dei nostri fiumi. Questa pratica oltre a avere l'effetto di seccare i nostri fiumi, che si vedono bypassare per tutta la lunghezza, ha l'effetto di liberare in costa acque dannose per la qualità della balneazione. Danno tanto più rilevante quanto più i trattamenti sono concentrati in un grande impianto industriale. Bellaria non avrà problemi sulle sue coste ma i suoi reflui trasferiti a Santa Giustina moltiplicheranno i problemi di Rivabella e San Giuliano. Va inoltre sottolineato che un fiume morto non ha più la possibilità di attivare il suo processo di depurazione delle acque in caso di piogge che dilavano terreni e trasportano inquinanti e nutrimenti in mare. Con poco sforzo si potrebbe trasferire l'acqua depurata nei canali consortili, oggi nutrita dall'acqua del fiume, e da li utilizzarla a fini irrigui per l'agricoltura. Si potrebbe poi riconoscere agli agricoltori anche un contributo per il servizio ambientale che fanno con il riuso. Gli effetti di questa politica saranno: agricoltura ricca, reflui non più scaricati in mare, ricarica assicurata delle falde, fiumi e canali ricchi e floridi. Il Consorzio di Bonifica invece di subire le emergenze idriche dovrebbe inserire specifiche strategie di riuso delle acque. Prevale invece una visone parassitarie dell'ambiente. Si attuano politiche che mettono a rischio il nostro agroalimentare e violano le norme su deflusso minimo dei fiumi, di fatto in violazione delle leggi. Il Presidente Bonaccini dovrebbe avere una visione che non sia quelle delle emergenze annunciate e prevedibili. E' suo dovere attivarsi per la conservazione e valorizzazione delle nostre risorse. Si devono elaborare strategie e percorsi per evitare in ogni modo le situazioni di crisi che tanto impoveriscono la nostra economia e devastano il nostro ambiente. Col Ministero dovrebbe attivarsi per scongiurare le ormai puntuali annunciate emergenze idriche. Rivedere la politica basata sul Canale Emiliano Romagnola che si limita a vampirizzare un fiume ormai esausto proprio nel periodo in cui è più povero e ricoprire la regione di canali di cemento che attraversano le nostre campagne. Questa strategia si dimostra ormai da molto tempo insufficiente. E' ora di superare gli interessi legati ai canali in cemento. La pratica del riuso delle acque e del ciclo integrato chiuso della risorsa idrica è una necessita da lungo tempo ed è una strategia conosciuta e utilizzata nel modo. I vantaggi ambientali ed economici sono indiscutibili. Cosa aspettiamo ancora?
 Ivan Innocenti