domenica 14 giugno 2020

La Coscienza di Zeno

Ormai la sigaretta è spenta e solo una telefonata, noto attempato spot, può allungare la vita. L'iperbole dolorosa di un perché. Ci deve essere infatti una motivazione seria se siamo ridotti così. A contare l'ultima sigaretta. A me ormai dura pochissimo e tento di smettere da che ho cominciato. Sono all'ultima da ormai trent'anni come l'Italia, estrema tentazione, è sempre sulla schiena del buratello. Ho provato a dimettermi da italiano per presunta incapacità ad esserlo... Non ci sono riuscito! È questione di genetica e amore, non di merito stavolta. Il Paese più bello del mondo pieno com'è di nostalgie più che meraviglie. È di un pullulare effimero l'inizio della vita, una sentita appartenenza, nulla più. Non ci si può fare niente dura il tempo, se ci si pensa con attenzione, di un battito d'ali, da crisalide a magnifica farfalla in un goccio. In un sorso, come gli occhi di mio figlio ormai grande eppur sempre quelli di una volta. Eggia... Non chiedetemi perché poi mi riaccendo e me ne accendo un'altra (ancora). Il rosso della testa che fuma mi dà la stessa emozione della rovesciata tanto cara agli interisti, del rigore di Scheva che insacca Buffon, di Milan Steaua Bucarest... o meglio ancora della serata di Atene dove ha dilagato la goduria del calcio totale nostrano in vece di quello importato. Epocale, come le giocate di Cruiff! Lo avrete già capito che è ricominciato il calcio...Che spettacolo. Non mi è mancato! Giusta metafora della vita e della politica. Come si sta sul rettangolo verde si gioca nella vita. Non ci sono trucchi, né inganni, nella democrazia meritocratica del campo del socer. Lì le chiacchiere stanno a zero. O si da tutto o non è pensabile restare in partita. Si sbaglia, si gioisce, si vince e perde. Il mio primo dieci in scrittura, come il numero sulle spalle, con lettura del tema alla collettività della classe mi fu riconosciuto dalla Marzaloni, prof. di italiano, in seconda media. Credevo di sprofondare. Disse: "volevo dare 0 e chiamare i genitori invece stanotte ho capito e sono qui a leggervelo". Parlava dell'esistenza, questo strano premio, descrivendo quello che scorre nelle vene quando vuoi fare goal. Quando sei in campo, quando sei tu e solo tu il protagonista. Un semi dio con la palla attaccata ai piedi. Ammetto che volevo sempre e solo vincere fino al centesimo minuto della disputa. Gonfiare la rete o farla gonfiare ad un Compagno è stata la mia ragione di vita dai 7 ai 17 anni. Il resto era companatico. Poi si è rotto qualcosa... e me ne sono andato. Mi ero schifato! Come nella politica tanto tempo dopo. I salti nel buio sono la mia prerogativa e massima ambizione. Però a 47 anni quando tocco la palla ancora gli do del tu... E quella emozione mi fa tornare bambino. Le narici si dilatano e l'odore dell'erba bagnata appena tagliata mi finisce dritta dentro al cervello...ed è giravolta, è ballo, danza e magia. Non ho mai bestemmiato giocando sul sintetico. La chirurgia plastica non fa per me. L'unico problema che avevo quando a centrocampo restava una sola opzione era crearne subito almeno un'altra. Adesso, invece, è il giorno dopo il problemone. Quando la ruggine che accumula le stagioni mi costringe dolorante sul divano. Ne ho perse più di quante ne abbia vinte di partite. Ma è sempre stato magnifico giocarle. Ieri come da un po' di tempo succede ho cercato di insegnare a mio figlio che occorre rispettare l'avversario. Si vince e si perde, ma è bello giocare insieme e democraticamente senza barare mai, senza menzogne, anche se non ho mai ritratto la gamba nella durezza degli scontri. Ne ho date (poche), ma quante ne ho prese (tante, troppe). Faccio ancora il terzo tempo con amici di un vecchio mondo ormai perduto. Sebbene beva rosso e fumi biondo mi invitano ancora da ex avversari, nonostante sappiano già la risposta... Non gioco più! 
P.S. Comunque vada è stato un successo. In qualcosa anche i tanti Zeno Cosini riescono felicemente a smettere.
Roberto Urbinati