venerdì 28 febbraio 2014

La Nuova Europa

Avevamo chiesto al Cancelliere un commento sui fatti ucraini, e soprattutto sui recenti sviluppi. Questo articolo ci stupisce per la completezza, e per un titolo apparentemente provocatorio ma che, da conoscitore di storia, crediamo di capire.
La Redazione

Sull’Ucraina, nel “mainstream”, dopo i giorni della retorica, è tornata un’apparente calma. Ma, in Ucraina, c'è stata una svolta radicale, e per il Paese è iniziata una nuova era. Nessuno è in grado di prevedere con certezza che cosa succederà in futuro, ma è importante comprendere con uno sguardo disincantato l'essenza della situazione. Nel bel mezzo della crisi politica, prima che essa giungesse al suo culmine sanguinoso, e agli attuali giorni convulsi, molti commentatori di Kiev hanno scritto che quanto stava accadendo era l'agonia della Repubblica Sovietica Socialistica Ucraina: la fine di uno stato che era "uscito dal guscio" dell'Unione Sovietica e per più di vent'anni aveva conservato i molti i tratti caratteristici della repubblica socialistica. Probabilmente è questo il giudizio più azzeccato che sia stato formulato in proposito. L'indipendenza fu concessa all'Ucraina dall'alto, grazie all'accanita lotta condotta dal movimento democratico russo, e più tardi anche dai dirigenti della RSFSR, contro il Cremlino e Gorbaciov che voleva (con l’avallo di un referendum, a dir il vero vinto) preservare l’unità dell’URSS.  Il popolo ucraino è scivolato gradualmente da una realtà all'altra. Dal 1991 al 2014 la politica ucraina si è basata sul principio della coalizione informale: essa si è rivolta verso l'Europa, ma conservando al tempo stesso, soprattutto sul piano economico, l'impianto generale ereditato dalla precedente formazione statale. L'identità nazionale, in mancanza di alternative, è stata mutuata dalla parte occidentale del Paese, dotata di una maggiore unità dal punto di vista delle idee. È stato indispensabile, però, abbassare la concentrazione dell'"identità nazionale", perché nella sua forma pura (cioè quella “Galiziana” oggi vincente) essa non poteva essere assimilata dal resto della popolazione di lingua e cultura russa. Di contro, la base dell’economia è stata costituita dalle regioni orientali, e per essere più precisi dall’eredità sovietica. Non si tratta solo delle imprese industriali vere e proprie, ma dell’intero complesso delle relazioni commerciali, economiche e umanitarie con la Russia, che hanno contribuito alla sopravvivenza di molti semplici cittadini fino all’arricchimento dell’élite oligarchica. L’Ucraina di fatto ha sviluppato una forma di parassitismo: aspettava dalle forze esterne che queste risolvessero i suoi problemi, in cambio della promessa di fare la “giusta” scelta geopolitica: con la Russia o contro la Russia. Questo sistema era ormai superato per diverse ragioni, sia di carattere esterno che interno. Il motivo principale è che esso ormai non garantisce più lo sviluppo del Paese, e serviva soltanto ad arricchire le classi dirigenti sempre più corrotte. La situazione che riguarda l’accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea è apparsa come una chiara dimostrazione del fatto che i vertici ucraini non sono mossi da altra motivazione che dal desiderio di restare al potere e assicurarsi il benessere (il loro…). Gli avvenimenti successivi hanno mostrato anche come i governanti del Paese non abbiano il benché minimo fiuto politico. Della bancarotta intellettuale e morale che ha colpito Victor Yanukovich lui stesso è in buona parte responsabile. Ed è stato proprio lui, con tutta probabilità a scavare la fossa alla “Repubblica Sovietica Ucraina” la cui esistenza era stata prolungata rispetto alle altre. Il nuovo stato e i suoi simboli. La forza motrice di piazza Maidan è l’idea della “rivoluzione nazionale” proveniente dalle regioni occidentali antirusse: Ora ha acquisito anche una sua mitologia: i martiri eroici, il sangue versato, il sacrificio della lotta per la libertà. Tutto ciò sul modello (per citare solo alcuni modelli recenti) dei Paesi baltici o dell’Azerbaigian, dove nel centro di Baku è stato realizzato il monumentale Viale dei Martiri in memoria delle vittime dell’ingresso delle truppe sovietiche, avvenuto il 20 gennaio 1990. La rivoluzione nazionale ha un proprio ordine del giorno che la parte più ideologizzata degli attuali vincitori seguirà certamente: individuare delle forze “antinazionali”, proibire le ideologie legate al “maledetto passato”, procedere alle epurazioni, esigere il giuramento di fedeltà non a un nuovo potere, bensì a un nuovo sistema di simboli. Quello di un nuovo stato da crearsi ex novo. Tentativi del genere in Ucraina si erano avuti anche in passato (soprattutto nel 2004), ma quegli impeti erano rimasti allo stato embrionale (o più esattamente erano stati malpreparati e malgestiti dagli sponsor occidentali…). Ora che le vittime fungeranno da catalizzatore e giustificheranno le azioni delle forze radicali sarà più veloce. Dal momento che queste azioni corrispondono alla prassi diffusa nell’Europa Orientale e Centrale in seguito alla caduta del comunismo, non incontreranno una vera e propria resistenza da parte dell’Occidente. Anzi. Nemmeno qualora si cominciasse a oltrepassare i limiti in modo sistematico. Tanto più che l’atteggiamento dei radicali ha un carattere apertamente antirusso, che è ben accetto dall’Europa e agli Stati Uniti, che sperano di “estendere” la rivoluzione alla stessa Russia, assumendone il controllo e, con essa, quello delle sue immense ricchezze. I riflessi per il “grande vicino”.   In contemporanea, naturalmente, si inizierà in tutta fretta a ritingere la nomenclatura e ad adattarla alla nuova situazione. Tra le file dei vincitori vi sono parecchi rappresentanti dell'opposizione "di sistema" che vuole restare al potere. Questa opposizione ha una maggiore esperienza rispetto ai "comandanti di campo" (quelli di Piazza Maidan) e pertanto risulterà avvantaggiata nel gioco politico che sta per iniziare. È del tutto probabile che accada qualcosa di simile alle conseguenze della "rivoluzione arancione": i vincitori ingaggeranno un'accanita lotta al proprio interno. Le ambizioni dei leader, a partire da Julia Timoshenko che è appena tornata in libertà e per finire con i capi del "Settore di destra", non contemplano dei concorrenti forti. La competizione, probabilmente su chi è più ”occidentale” e più antirusso, si svolgerà sul piano della retorica radicale. Cosa potrebbe significare tutto ciò per la Russia? In primo luogo, è probabile che tornino a presentarsi questioni che sembravano ormai chiuse nel 2010, quando furono firmati gli accordi di Kharkov sulla flotta del Mar Nero e fu approvato lo status neutrale dell'Ucraina rispetto ai grandi blocchi. Il fatto che sia stata messa all'ordine del giorno la questione dell'ingresso dell'Ucraina nella NATO sposta l'intero scontro sul piano della sicurezza internazionale, con la reazione della Russia che ne consegue. In secondo luogo, i rapporti tra l'Est e l'Ovest del Paese nelle nuove condizioni che si sono venute a creare potrebbero provocare gravi complicazioni.  Certo per la Russia, l’attuale situazione è una durissima sconfitta che l’occidente cercherà di sfruttare al massimo. Se quelle parti dell'Ucraina che non sostengono in massa la piazza Maidan non si organizzeranno in una forza unita e influente, su di esse si abbatterà una fortissima pressione psicologica e politica. Il raduno di alcuni giorni fa a Kharkov e il comportamento delle figure chiave dell'"ala orientale" non hanno dato l'impressione di una grande energia e dell'effettiva prontezza a difendere i propri interessi. La "rivoluzione nazionale" galiziana richiede invece una coerente ucrainizzazione del Paese e, di conseguenza, il dissolvimento di quel modello di vita che si era conservato nelle regioni in cui prevale la popolazione di lingua russa che si vedranno ridotte allo stato di “non cittadini” come già avviene nei paesi baltici. Quindi, oggi la Russia si trova di fronte a un grave dilemma. Una situazione simile, come dicevano, a quella verificatasi nel Baltico potrebbe ripetersi su scala assai più vasta: gli abitanti dell'Ucraina che guardano a Mosca e che vedono ledere i propri diritti dalla "costruzione nazionale" si appelleranno al potere della capitale. Se la Russia ignorerà tutto ciò o cercherà di cavarsela con delle minacciose quanto insignificanti note del Ministero degli Esteri, la cosa avrà delle ricadute sia sull'autocoscienza che sul prestigio del Paese. Intromettersi negli affari interni di uno stato confinante richiede una ferma volontà politica, la presa di coscienza del fine ultimo e la determinazione a raggiungerlo, perché l'impresa comporta notevoli rischi. Il più grave: una guerra con gli “sponsor” della Rivoluzione (U.S.A. e U.E.).  Questo, ad esempio, è capito benissimo negli USA (unica superpotenza) che non evitano mai di scatenare o intervenire in conflitti, “rivoluzioni”, ecc… I prossimi giorni, ci diranno se la Russia di Putin è qualcosa di nuovo o solo la ripetizione di quella, ridicola, di Gorbaciov ed Eltsin. La fine della storia della Repubblica Sovietica Ucraina apre una pagina nuova. Per il suo contenuto essa ricorda quanto avvenne nell'Europa dell'Est in seguito allo sfaldamento del blocco sovietico. Eppure, date la portata, la complessità e le caratteristiche peculiari dell’Ucraina, tutti i gravi problemi a cui sono andati incontro gli stati post-sovietici qui si manifesteranno in forma più acuta e maligna. In conclusione, l'Ucraina di oggi ha ereditato paradossalmente (si pensi solo alla Crimea !), un territorio per il quale deve essere grata ai segretari generali dell'Unione Sovietica. La fine della Repubblica Sovietica Ucraina non solo segna la fine di un preciso modello socio-politico, ma ci consente di porci la questione dell'organizzazione di uno stato in quanto tale, partendo da un modello inesistente e conflittuale. 
Il Cancelliere
P.S.
L'articolo è eccezionalmente interessante ma rimane il dubbio su cosa intende il Cancelliere per " Nuova Europa. Sembra straordinariamente quella del 1941.
continua....