È una brutta esperienza e non si può augurarla a nessuno. Ma chi l’ha fatta la
riconoscerà. Quando si è vissuto un evento drammatico – un grosso incidente
stradale, la morte improvvisa ed inaspettata di una persona cara – ci si
sorprende a sognare l’impossibile. Che si possa tornare indietro e non uscire
in auto, per una ragione così sciocca, che tanto ci è costata e tanto ci
costerà. Che quella persona non sia morta. Che tutto sia stato un brutto sogno.
Presto ci sveglieremo e scopriremo che no, ciò che ci faceva soffrire non è
affatto avvenuto. Se la sofferenza è grande, questo sogno ad occhi aperti
diviene persino importuno, tanto è grande la voglia di negare la realtà, di
tornare indietro, di smettere di soffrire.
Non si può essere troppo severi, con chi si dibatte in queste angosce. Il
dolore ci fa chiudere gli occhi dinanzi all’evidenza e ci rende capaci di
attaccarci alle speranze più folli. “Se solo ciò che è potesse non essere!”,
“Se soltanto Qualcuno compisse un miracolo e, almeno per stavolta, mi
graziasse!”
Probabilmente è questo fondo di disperazione che pervade l’intera nazione. Ed
è questa disperazione che fornisce un piedestallo a Matteo Renzi. Un po’ come
qualcuno che, dopo avere ricevuto una sequela di diagnosi infauste, si sente
dire da un dottorino che no, non è una malattia senza rimedio. No, quelle non
sono metastasi, sono innocue cisti che si riassorbiranno. Chi non vorrebbe
risentirle ancora, quelle parole magiche, chi non apre un credito sia pure dell’
un per cento, a chi ci parla di vita, invece che di morte?
Sorprendentemente i commenti al discorso con cui Matteo Renzi ha chiesto la
fiducia al Parlamento non hanno avuto il tono di irrisione e di fastidio che di
solito si ha verso chi propone una lozione per far ricrescere i capelli. Si
sente che un’apertura di credito “ci deve essere”: ed infatti “c’è stata”.
Tanto che ci si può chiedere se i commentatori più seri credano improvvisamente
a Babbo Natale o se non abbiano soltanto voluto evitare la nomea di
iettatori.
Per scendere dalle nuvole bastano due semplici constatazioni: per far contento
il centrodestra, abolendo l’Imu, erano necessari circa quattro miliardi e di
fatto non ci si è riusciti. Di riffa o di raffa, contorcendosi e cambiando nome
alle imposte, l’Imu o gran parte di essa è rimasta. Da un lato lo Stato non
riesce a fare a meno di quattro miliardi, dall’altro il programma di Renzi,
secondo i calcoli di parecchi, costerebbe cento miliardi. Venticinque volte
tanto.
Ammettiamo che si stia esagerando. Ammettiamo che i miliardi necessari siano
soltanto ottanta. Settanta. Via, cinquanta. Ma cinquanta miliardi sono più di
dodici volte l’importo dell’Imu. Dove prendere questo denaro? Dal punto di
vista fiscale il Paese è talmente strizzato che è difficile farne uscire ancora
qualche goccia di sangue. E per giunta, dopo anni di austerità, con le virtuose
cure di Mario Monti prima ed Enrico Letta poi, la situazione è addirittura
peggiorata.
È vero, recentemente il precedente governo parlava di fine della crisi e di
inizio della ripresa, se pur timida. Timida? Ammesso che il nostro prodotto
interno lordo sia di 1.600 miliardi l’anno, se è vero che abbiamo avuto un
aumento del pil dello 0,1% (come hanno scritto i giornali) questo 0.1%
corrisponde a un miliardo e 600 milioni. È con questa ripresa che Renzi vuol
finanziare il suo faraonico piano di 70-100 miliardi? E tutte le altre ipotesi
sono di gettito modestissimo ed incerto, mentre certo è il loro impatto
negativo sull’economia.
Il Paese non può essere spremuto ulteriormente. C’è anzi il rischio (curva di
Laffer) che un aumento della pressione fiscale possa tradursi in un minore
gettito per l’erario. L’Europa non ci permette di fare ancora debiti. Se anche
ce lo permettesse probabilmente i mercati ci chiederebbero interessi usurari.
Dunque tutto ciò che ha raccontato Renzi corrisponde al sogno di chi vorrebbe
che ieri non fosse successo quello che è successo.
La realtà è che non esiste nessuna soluzione che non sia traumatica. E su
questo capitolo si può lasciare libero corso all’immaginazione dei lettori.
G.P.