lunedì 2 luglio 2018

Basta Piangersi Addosso

Non so quanto sia giusto, alla fine di tutto, scoprirsi triste. Sapevo essere vulnerabile come se le mani vestissero di tutto punto guanti che, sì, sebbene proteggano dal confondersi al contempo impediscono di percepire la sostanza, anche quella del cambiamento, su cui non nutro a dire il vero grandi speranze alla Tucidide. “Le sofferenze che il fato ci infligge devono essere sopportate con pazienza, ciò che ci infliggono i nemici con grande coraggio”- Fa sempre riflettere sottrarsi dalla e alla partecipazione come fosse possibile rassegnarsi e rinchiudersi nella indifferenza, privarsi di quello strano e rischioso amore che sta alla base della scelta generosa di voler offrire un contributo, pur consci che la “speranza porta alla rovina della città” e come non vi sia disperazione senza speranza. E’ il tempo che stiamo vivendo vieppiù paradossalmente nasconde, mischia e confonde gli avversari. Tempo di relativismo, di pensiero debole, in cui l’opportunità individuale vince sul resto. Quasi sia capace di convincermi che l’unico diritto che rimane da invocare sia quello all’oblio. Non vuole essere la conclamazione di un animo puro, mi guardo bene da questa puerile ambizione, ma è, questo si, la presa d’atto di una profonda e dura sconfitta del pensiero, una rotta epocale, che lascia dispersi fra le macerie ideali e simboli, attaccati brutalmente anche da chi si riteneva simili, da chi si credeva condividere lo stesso cammino, spezzato lo stesso pane, vissuto le medesime condizioni, calzato analoghe scarpe. L’onda che ne è conseguita, anche emotiva, pare non trovi nemmeno il beneficio della risacca o il limite della battigia. E’ uno tsunami prepotente che sta lavando come un greto il suolo su cui per anni non attecchirà più un frutto se non quello della diffidenza. Eppure tocca provare! Tutto il glorioso compendio ideale pare smarrito, rottamato nella sua sfida colossale alle edificazioni umane che seppur imperfette hanno avuto il merito di tentare la via del cielo, di oltrepassare l’orizzonte delle convenzioni. Occorre un rinnovato sforzo, che la voce, seppur ridotta e flebile, non taccia sebbene si faccia di lamento, sia lagna, recriminazione, ma non smetta di rampollar quel filo d’acqua da cui il seme possa ritrovare vigore. E’ difficile pensare e dire stringiamoci a coorte. E’ rimasto davvero poco, anche gli stendardi sono sbiaditi dove ancora integri. Non sono i simboli ad avere abdicato al loro ruolo ma gli uomini. Possono ben ancora essere schiaffeggiati dal vento e il loro sartiame sussurrare il canto impetuoso sbattendo sugli alberi la resistenza alla tempesta. Per quanto il tempo possa far apparire la sua spietata legge abbattersi sulla chiglia che per timore è stata adagiata sul fondale a dritta di prora via, ove pare possa posare per secoli, essa, invero, anela il mare eccome. Il disarmo è solo apparente, l’approdo sicuramente non l’ultimo. Da questa fase propedeutica saprà distillare nuova forza e rinnovato vigore e sul ponte che non sarà più una sentina un nuovo nocchiero, con la sua ciurma, comanderanno che le vele vengano dispiegate al vento per riprendere il meritato mare, onde varcare nuovamente l’orizzonte, in una missione a cui tutti, nessuno escluso, siamo non solo tenuti, invitati, bensì chiamati. La sinistra merita di riprendersi il mare: è uno spreco troppo grande lasciarla in agonia, alla stregua di una balena spiaggiata e morente; uno spreco che nessuno può permettersi!
Roberto Urbinati