martedì 4 agosto 2015

Rimini, lo sballo e la riduzione del danno

Alcune estati accadimenti sciagurati segnano irrimediabilmente i nostri ricordi. A volte sono incidenti d’auto mortali, altre volte sono eccezionali eventi metrologici e altre volte ancora, come quest’estate, una giovane vita viene stroncata dalla chimica di uno stupefacente. Lamberto Lucaccioni, sedici anni, lontano 50 km dai suoi genitori, ha pensato che un assaggio d’indipendenza andasse festeggiato con l’exstasy ed è morto. Questa è una notizia che abbiamo già commentato, ora però, a distanza di quindici giorni, possiamo cominciare a misurare reazioni e conseguenze. Il 19 luglio 2015 è stato il giorno in cui tutti ci siamo resi conto che la droga rappresenta ancora uno dei più grandi pericoli per i nostri ragazzi. Non che non lo sapessimo, ma realizzarlo è un’altra faccenda. Appena qualche settimana prima di questa morte il Coconuts di Paesani, lo stesso Paesani gerente della Molo Street Parade, era stato chiuso per essersi trovato al centro di una brutta storia di cocaina, armi e denaro falso. Colpevolmente o incolpevolmente che fosse, lo strascico, perlomeno quello mediatico, è stato molto breve. Il Sindaco ha nascosto l’elefante rosa dietro un silenzio imbarazzato, il TAR ha ridotto alla metà dei giorni il provvedimento di chiusura del locale e la gente, dopo un po’ di rumors, ha archiviato tutto sotto la poco pericolosa voce di gossip. Nessuno ha considerato la vera portata della faccenda, forse perché a tutti si sono trovati a loro agio nel credere sia un affare di “stranieri”. Mafia albanese e mignotte russe che giocano tra loro in una pessima sceneggiatura, dove i riminesi non c’entrano e se sono rimasti in mezzo non è colpa loro, quasi fosse un film di serie B… che se non lo vuoi vedere spegni la TV. L’Estate di Rimini però assomiglia molto a quel film e Lamberto ce lo ha dimostrato. Illudersi che la situazione sia diversa, perché diversi sono il posto e l’età dei coinvolti, è semplicemente da dementi. Molta, moltissima gente viene a Rimini d’estate perché qui è stata lasciata crescere la sensazione di poter fare quello che si vuole, chi lavora di notte lo sa. Ci ha pensato un ragazzo di sedici anni a far rimettere i piedi per terra a tutti, nel modo peggiore in cui lo poteva fare, ma quali sono state le reazioni? La prima reazione, la rappresaglia, si è scatenata cieca contro il luogo dell’incidente. Il Cocoricò, tempio di culto pagano della religione Tecno, viene chiuso per 4 mesi sotto il peso di condanna unanime a cui il Questore Improta non può non dar seguito. Chiudi il posto risolvi il problema, come se la droga risiedesse dove se ne fa uso. Non è con il proibizionismo che si risolve la cosa. La storia dimostra che là dove si è praticato il divieto senza scampo si è solo aumentato il traffico illecito di ciò che si voleva negare. Prendiamo il caso stesso del Cocoricò. Il Questore ha dichiarato, sulle pagine dei quotidiani locali, che la gestione aveva fatto tutto quanto prescritto e consigliato dalla Questura. Polizia all’entrata, telecamere sia dentro che nei parcheggi, perquisizioni a campione e messaggi contro la droga. Qual è la logica legale del provvedimento di chiusura? Se si era fatto quanto prescritto non v’è oggettiva responsabilità del locale e chiuderlo nell’apice della stagione sembra un colpo di rimbalzo. Della serie: dovevamo punire qualcuno. E’ evidente che si tratta di provvedimenti utili a tamponare più la reazione del pubblico, che non a mettere un argine al problema. Proprio dalla Rimini dello sballo però si comincia a parlare di soluzioni e lo si fa in una affollata assemblea agostana ospitata dal Villino Ricci, ormai ombelico dello Stato Sociale Riminese. In un dibattito messo insieme da studenti, politici e operatori sociali si parla di cultura, prevenzione e limitazione del danno, con una prospettiva diversa. E’, ad esempio, il punto di vista di Max del Lab57 che il problema lo affronta tutti i giorni, non solo quando diventa un lutto, anzi… forse è merito proprio di quelli come lui se di lutti non ce ne sono molti di più. Si parla di riduzione del danno, ossia di ciò che persone motivate ed addestrate possono mettere in campo per creare zone franche (fuori o dentro i locali) allo scopo di soccorrere ed informare chi ha fatto o sta per far uso di stupefacenti. Una prospettiva particolarmente interessante se integrata con un servizio di analisi degli stupefacenti, perché molti dei problemi immediati che si verificano con l’assunzione delle sostanze psicotrope derivano dal materiale “da taglio” con cui se ne aumenta il volume e quindi il ricavo. Tutto ciò è risolutivo? Certamente, se applicato in modo corretto, si riducono di molto il rischio di decesso e la necessità di un ricovero (con tutto il costo sociale che ne deriva), ma poi ci si dovrebbe applicare nel lavoro più lungo quello di trasformazione della cultura corrente. Per esperienza personale… ad un ragazzo che conduce un corso di studi superiore in 5 anni gli si dedica una lezione su droga e rischi correlati, probabilmente condotta con una convinzione tale da diventare solo l’occasione di due risate alle spalle di un vecchio che vuol spiegare cos’è la droga (proprio a me che mi drogo!). Nell’Assemblea è stata proposta anche la costituzione di Stati Generali sul tema della droga. Chissà che il luogo non convenzionale favorisca la creazione di un moto altrettanto poco conformista, perché la conformità spesso è solo un modo per essere formalmente ineccepibili senza produrre risultato. Ancora una volta l’esempio è proprio il Cocoricò, che una colpa ce l’ha: seguendo pedissequamente le istruzioni, di chi poi ne ha decretato la chiusura, ha scelto di essere incompatibile con i metodi di riduzione del danno, poco graditi poiché si muovono in una linea di confine, ma più efficaci perché se un ragazzino deve chiedere aiuto non lo fa ad un’ambulanza con la polizia di fianco. 
 P.S. “Spaccio fuori dalle scuole perché dentro c’è un ambiente che non mi piace.”
 [Maurizio Sangalli]
 @DadoCardone