mercoledì 25 giugno 2014

Lasagne Verdi

Nella sceneggiatura di un film "impegnato" sul turismo riminese metterei in primo piano le ..lasagne verdi. Era il piatto tipico che fino agli anni 70 ogni albergo preparava per il pranzo della domenica. In ogni strada della marina, sentivi l'odore di sugo misto a balsamella, la cottura perfetta la si raggiungeva andando nel forno del panificio vicino a casa. Un lavoro immane, spesso iniziava il giorno prima, con la preparazione degli spinaci, che dovevano essere conciati, lavati e bolliti, quale ingrediente base per la sfoglia verde, realizzata tutta a mano, a forza di mattarello, poi tagliata a quadri di una spanna. Oggi hanno ingaggiato Bottura. Anche il sugo era un rito, selezionando i pomodori migliori che dopo l'aggiunta di carne e spezie, richiedeva una cottura infinita. Un'arte che nessuno più pratica oggi prevale cous cous o kebab, nessuno saprebbe più farle o rifarle. Per 19 euro giornaliere qualche ingrediente lo devi omettere. Costi enormi, manodopera qualificata, prodotti genuini introvabili e prezzi impossibili per il nostro tipo di clientela. Vorrei proporre al Sindaco magari al prossimo, questo ormai è la controfigura di Gnassi, un revival di questi piatti, senza piantare tendoni sul piazzale Fellini. Le lasagne verdi sono state la vera icona del nostro turismo, un successo clamoroso durato un ventennio. Più facile buttarsi su piada precotta o spaghetti allo scoglio con pesce fumante di ammoniaca, giocando ai finti romagnoli, facendo servire il tutto da una cameriera rumena con capello di paglia e l'aggiunta scenografica del canestrino per la piada o gli spaghetti nella ciotola smaltata. L'intrecciato è stato fatto in Cina e la ceramica nel Nordafrica. La Rinaldis potrebbe anche dire (è pagata a cottimo dichiarativo) che si fanno in tutto il mondo per i turisti. Questo arrivo a capirlo, ma il dramma riminese sono gli scienziati del turismo, professori, docenti, albergatori-architetti della Rimini Future. Scomodano perfino il termine cultura che applicata al nostro sistema assomiglia ad una bestemmia. Una parola che mi ha sempre intimorito, riconoscendone l'importanza e la sacralità, anche parlando di cucina, scopri le ragioni più vere del vivere di una comunità. Ai tanti finti sapientoni del carro di tespi festaiolo, non ho mai sentito ricordare, come raccontavano i nostri vecchi, che la piada nasce come esigenza di utilizzare la farina di frumento. La rara farina bianca, come si chiamava un tempo, quella prodotta con il grano, si utilizzava per la pasta e chi poteva preferiva trasformala in pane. Lascio ad altri il mestiere difficile ma stupendo di approfondire la storia della nostra cucina, ma per favore qualcuno chiuda la bocca ed i tendoni a Gnassi. Mi ricorda la storiella del bambino che non sapeva che i polli avessero le penne, avendoli visti solo nel girarrosto. Se parliamo di al meni, intese come lavoro vero e quindi come identità, facciamo parlare i protagonisti o per lo meno qualche ricercatore e non furbetti sempre pronti a fare gli esperti di tutto. La chicca raccontata è che anche Ermeti insignito della honoris laurea in urbanistica riminese causa i troppi alberghi posseduti, partendo dalla spiaggia cocco beach, sua antica vision, vada in giro ad organizzare feste.