domenica 5 gennaio 2020

Il Barone Rampante e La Grandiosità di Calvino

Gli scrittori sono gli artisti che concedono ai lettori la conoscenza delle parole del mondo invisibile, della fantasia, dell’immaginazione delle quali continuiamo a non avere cura. Per questa loro capacità andrebbero collocati (quasi tutti) in paradiso, terrestre. Calvino tra i primi, con la sua arrogante semplicità e delicata fantasia, perché riesce a toccare l’immaginario di chiunque lo legga, fornendo un approdo sicuro ai pensieri paradossali e anacronistici che albergano nelle menti chiuse nei cortili della realtà tangibile, toccabile. Il sempre giovane barone rampante è un personaggio non personaggio che si colloca in un tempo e in uno spazio che non gli appartengono. Non ha filtri né metri di misura, se non il suo istinto ben poco ammaestrato che gli suggerisce di prendere una decisione definitiva, sulla quale non mostrerà mai alcuna desistenza. La delicatezza di Calvino sta nel raccontare questo individuo da un punto di vista che non vuole palesarsi. Tanto è puro il protagonista quanto lo è la sua narrazione. Infatti Calvino sembra non aver scritto questa storia, ma pare averla registrata, filmata, e dettagliata a parole in un racconto che non ha pretese di indagine, di ricerca di significati introspettivi o psicologici. Quel che il barone è dentro è quel che è fuori. E’ un rivoluzionario. E’ il rivoluzionario, in un’epoca in cui le rivoluzioni hanno segnato (sui libri di storia) i passi fondamentali della civiltà, portando gli avvenimenti di massa in primo piano, trascurando però la dimensione classica dell’uomo in balia degli eventi esterni, ma soprattutto dei moti interni della sua anima. Calvino raccorda tutto senza sprecare parole né retorica. Il barone “arrampicante” è il miglior rivoluzionario di ogni epoca. Capriccioso per non essere corrotto, arrogante per non redimersi, coraggioso solo e unicamente di fronte a se stesso. Senza riflettere sui motivi dei suoi affanni, si stacca dal suolo, recide i legami con le radici dei suoi malesseri e della sua incomprensione verso gli individui terrestri, con i quali non sente la necessità morale di avere rapporti, come detta il buon decoro. Se il problema è il rapporto con gli umani che albergano il mondo, il barone si stacca di qualche metro, si arrampica quel poco che gli basta per avere la giusta distanza. Non perde tempo e parole per giustificare e quindi diffondere la sua visione del mondo. Non ne ha una. Sa solo che quella che gli hanno fornito non gli va bene. Il capriccio che mette in atto è quanto di più facile, puro e accessibile ogni uomo può disporre. Così immediato e incontrastabile, che pochissimi uomini, o forse nessuno in questa maniera, è capace di rivoluzionarsi. Anche la nostra epoca è vittima della stessa insofferenza del barone. Abbiamo riempito il disagio con la ricerca di “istruttori” di benessere, umani e materiali. Però non sappiamo ricavare la strategia di uscita perchè, magari, non è quella che serve a salvarci dall’angoscia di fare bene, essere il bene. Non funziona una rivoluzione che prima accordi le volontà su cosa sia ingiusto e poi definisca la strategia di azione. La rivoluzione è un atto improvviso e non calcolato. Non si trova intervista, manuale, comizio non intriso di retorica e pretesa di cambiare i comportamenti, i pensieri, la vita degli esseri viventi. In realtà nessuno sa come farci capire cosa vada cambiato e come agire per farlo. Tranne Calvino, che ha consegnato al barone la capacità di penetrare nei nostri pensieri dimostrando che un piccolo e singolare fatto, porta in sé il seme della rivoluzione. Grazie Italo. Tu hai raccontato il lusso del capriccio. Il capriccio dà a ogni individuo il potere di definire i no della vita. I no della vita non devono combaciare con quelli degli altri. Ognuno è barone di se stesso. Per questo può essere facile fare la rivoluzione. 
 Arianna Adanti