lunedì 20 gennaio 2020

Prendila Così

“Prendila così, non possiamo farne un dramma…” recita una delle dolci canzoni di Battisti, da un album che parla di “una donna per amico”. Il ritornello iniziale mi è venuto in mente mentre, sforzandomi di “prenderla così”, pensavo a come sia possibile che noi residenti in Italia non ci permettiamo il lusso di pensare a formule per migliorare la qualità della nostra vita. Complice il dibattito pubblico provinciale che si è limitato a un confronto tra chi sente l’esigenza di cambiare, ma non sa manco dove inizia il pensiero del cambiamento, e chi non avverte altra esigenza che mantenere costante tutto ciò che riguarda la cosa pubblica, perchè in fondo si potrebbe stare anche peggio (bella evoluzione che ci si prospetta!), la stagnazione della realtà italica pare non presentare vie di uscita. Però, concentrandosi su un aspetto pratico-che meriterebbe un’analisi molto più approfondita-ovvero quello dei servizi esternalizzati che da anni investe tutti i comuni italiani, forse si possono individuare insenature attraverso cui avviare un discorso di cambiamento, in senso migliorativo. Per motivi di bilancio, quindi di risparmio, oltre a motivi di sottorganico e tanto altro, i comuni italiani da tempo hanno iniziato un processo apparentemente irreversibile che, attraverso appalti, delega la gestione di numerosi servizi amministrativo-contabili, socio-sanitari, educativi, culturali e ricreativi, ma anche di decoro (eccetera, tanta eccetera!) ad aziende private le quali si trasformano in “municipalizzate”. La scelta di esternalizzare pare obbligatoria per abbassare i costi e avere la stessa qualità di servizio. Se misuriamo la qualità in termini di efficienza economica possiamo anche approvare la scelta (non sempre). Ma se volessimo soffermarci sugli aspetti “sociologico-politici” che queste scelte portano con sè, dovremmo considerare che un servizio che faccia capo a un comune ha la possibilità di mantenere risvolti sociali non indifferenti, nel senso che per un’amministrazione del passato gestire (ed esempio) i servizi educativi per l’infanzia non era solo questione di fare manutenzione a una scuola, predisporre il personale e avviare l’anno scolastico, ma poteva essere una occasione per creare una comunità educante territoriale incidendo sulla rete sociale che inevitabilmente si instaurava tra “fornitori” e “fruitori” , tra frequentanti e insegnanti, famiglie e lavoratori della scuola. Gestire la raccolta dei rifiuti urbani e la pulizia delle strade non era solo questione di servizio impeccabile (magari fosse impeccabile!) entro certi costi, ma era anche un’occasione per, ad esempio, permettere a più persone in stato di necessità o di non autosufficienza di essere ingaggiati come lavoratori, al di là delle “percentuali” (che orribile criterio) stabilite per legge, basandosi piuttosto su quanti lavoratori di questo tipo si hanno sul territorio. Avere la gestione dei servizi interni sicuramente presentava costi elevati, d’altra parte però non venivano quantificati i vantaggi sociali che ne scaturivano. Andando ancora più sul pratico, si potrebbe pensare a una gestione amministrativa che a fronte dell’esternalizzazione/delega, chieda un supporto sociale, ambientale, parasanitario o di altra natura che diversamente rischia di essere perso. Se non si possono abbassare le tariffe dei servizi di cui tutti usufruiamo, ci potrebbe sollevare avere delle municipalizzate che a fronte del grosso servizio che un comune gli concede in gestione, ci fornissero quantomeno un forte e diffuso ritorno in termini di salute, ambiente, servizio sociale. Associazioni, fondazioni create all’interno di queste grosse aziende o cooperative (già esistono in molte realtà) potrebbero permettere di girare una minima parte dei proventi e farla ricadere in maniera più incisiva sul territorio: aziende che ora gestiscono i nostri rifiuti che possano fornire prodotti di cartoleria realizzati con materiale di recupero agli alunni residenti, oppure che prevedano una raccolta di rifiuti a residenti in condizioni di non autosufficienza magari accordandosi con volontari di zona oppure che predispongano o forniscano materiale biodegradabile per le mense di scuole e istituti, ovviamente gratuiti per i residenti, promozionali per le aziende che li producono. Altri servizi che vengono appaltati per più di 3 anni, a fronte di ingenti somme di denaro, potrebbero restituirci mini servizi di trasporti a bassissimo impatto ambientale e a chilometraggio limitato, servizi di pre/post scuola in accordo con le associazioni esperte in attività per l’apprendimento, promozione turistica via web creando nuovi canali, borse di studio.... Esistono infinite possibilità di riprendere un minimo livello di controllo e gestione di quelle esigenze che una azienda privata, per definizione, non può promettere nell’offerta che propone. Solo un amministratore, cittadino della sua comunità, può gestire le mancanze e trattarne contestualmente il recupero. Dato che, purtroppo, tocca prenderla così...almeno cerchiamo la contropartita migliore.
 Arianna Adanti