domenica 20 settembre 2015

Il Cancelliere: Si vatra ni se sfarma..

“Si vatra ni se sfarma, si neamul ni s-a stins” “Il focolare andrà in pezzi e la stirpe si spegnerà” Tudor Arghezi, (Ion N. Teodorescu) Jale.
Sentiamo più raramente il Cancelliere. Nonostante i lettori ci chiedano spesso di lui. Il motivo l’abbiamo spiegato: ormai è sua opinione che non vi sia più molto di importante da scrivere. Fra un po’ la realtà di menzogne costruite negli ultimi anni (la cosiddetta “realtà virtuale” creata dai media) si scontrerà con quello che il Cancelliere chiama: ”il principio di realtà”. Secondo lui non è sicuro chi vinca tra i due, in un mondo, qual è quello occidentale, ove vi è una sola informazione, una sola fonte, e la gente deve, per forza, “bere” quella. Mancando oltretutto culturalmente, essendone stata privata, di strumenti critici. In altre parole non ha i mezzi (almeno sufficienti) per contrastare la valanga di menzogne che, tutti i giorni, le viene scaricata addosso dal “mainstream”. Nell’attesa di questo scontro tra menzogna e verità, ci manda, a nostra riflessione, alcuni brani spesso famosi che evidentemente per lui rappresentano bene il presente momento. L’ultimo che ci ha inviato, e che sottoponiamo ai lettori, è la fine del romanzo di Italo Calvino “Le città invisibili”. Vecchio di quarant’anni conserva la sua forza suggestiva e la sua sorprendente capacità di adattarsi e fotografare l’”inferno” (di menzogne, ma non solo) in cui siamo precipitati e dal quale (forse e quando?) usciremo.
Leggiamo: 
“L’atlante del Gran Kan" contiene anche le carte delle terre promesse visitate nel pensiero ma non ancora scoperte e fondate: la Nuova Atlantide, Utopia la Città del Sole, Oceana, Tamoè, Armonia, New-Lanark, Icaria. Chiese a Marco Kublai: – Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quale di questi futuri ci spingono i venti propizi. Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t’ho detto. Già il Gran Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte della città che minacciano negli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave New World. Dice Kublai: – Tutto è inutile, Se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente. E Polo: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; ce ne è uno, ed è quello che c’è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Il Cancelliere