venerdì 6 ottobre 2017

Di Progetto in Progetto

L'esperienza del Dott. Gianfranco Francioni in Tanzania La strategia del Colibrì Come credo succeda a tutti, man mano che si avvicinava il momento di andare in pensione pensavo sarei caduto in crisi. Ora che faccio dopo 40 anni di sala operatoria e di un mestiere che mi impegnava più di 12 ore al giorno? Nel momento di dover lasciare tutto ero talmente giù che me ne sono andato senza una cena, un brindisi, un incontro, un saluto. Fortunatamente pochi mesi prima mi avevano proposto di andare in Africa; là c’era bisogno e avrei potuto continuare a fare il mio mestiere. Ho riflettuto, ho accettato e grazie a tutto questo il mio stato d’animo è oggi completamente cambiato. Invece di rimpiangere il passato penso al mio futuro professionale, non solo in Africa, ma persino qui. I nuovi stimoli mi hanno ricaricato come mai avrei mai pensato. La voglia di fare è intatta anzi accresciuta. Potreste dirmi che avrei dovuto fare volontariato qui da noi. Quanto bisogno c’è? Evidentemente sì, avrei potuto, ma non continuando a fare il mio lavoro, con pazienti acuti in condizioni gravi. Di questa opportunità devo ringraziare un amico, il dottor Bartolomei Melchisede con un importante passato di lavoro in Africa. I racconti, le foto, le sollecitazioni mi hanno contagiato ed eccomi qui a cercare di fare la mia parte. Non si parla di soldi, ma solo di volontariato finalizzato ad un ambizioso progetto. Parliamo dell’ospedale di Ikonda nella Tanzania del sud, sorto grazie ai missionari italiani agli inizi degli anni ’60 che, per organizzazione ed efficienza dopo le cliniche di Dar Es Salaam – la vecchia capitale –ha pochi eguali in un paese di quasi un milione di kmq e una popolazione di 50 milioni di individui con un reddito pro capite di 600 dollari all’anno. All’ospedale di Ikonda ho conosciuto personaggi straordinari a cominciare da don Alessandro Nava, padre della Consolata di Torino. Ogni anno deve affrontare un deficit di circa mezzo milione di euro; non so come faccia, ma ci pensa lui, insieme a Manuela Buzzi - più una “no profit manager” che una Farmacista- a trovare donazioni e mezzi per ripianare i debiti. Parliamo di un ospedale vero, organizzato, pulito, con tutte le attrezzature anche là oggi ormai essenziali – Tavoli radiologici telecomandati, Tac, ecografi, sale operatorie, Endoscopi, Cistoscopi, e persino un Centro Trasfusionale che garantisce sacche di sangue altrove introvabili. E’ quindi un ospedale assolutamente efficiente: lo dicono i numeri, lo dice Internet. La gente lo sa e viene da tutta la Tanzania per curarsi e partorire, persino da molte centinaia di chilometri di distanza, a volte con mezzi di fortuna e inenarrabili difficoltà. Migliorare questo livello, già molto alto per una piccolissima città nel bel mezzo dell’Africa, è molto difficile; come per l’atleta che battuto un record voglia andare oltre. E per andare oltre, per fare ulteriori miglioramenti l’ospedale di Ikonda non ha bisogno di un colpo di reni, ma deve paradossalmente trovare la forza di fermarsi a consolidare l’esistente. Fare cioè basi più forti su cui fondare una solida crescita poi. Questo significa formare un numero di professionisti locali sufficiente a garantire la continuità del cambiamento. Se molto si è fatto, moltissimo c’è ancora da fare. Mancano Ginecologi, Ortopedici, Urologi, Oculisti, Radiologi, Chirurghi e soprattutto infermieri competenti, che sono la vera anima di ogni ospedale. E per far funzionare la nuova Terapia Intensiva di infermieri in gamba ne occorreranno molti. Formare personale specializzato (nel nostro caso medici e infermieri) è il modo più efficace – parliamo dell’Africa in generale- per creare le condizioni di un indispensabile sviluppo e far sì che la gente rimanga nel proprio territorio. Sono fame e disperazione a spingere inesorabilmente molti milioni di africani verso l’Europa. E fame e disperazione non conoscono ostacoli. Un problema gigantesco, drammatico che solo di progetto in progetto si può tentare, nel tempo, di arginare. Ikonda è un granello di sabbia nel deserto sterminato dei problemi che affliggono l’Africa, ma con la “strategia del colibri’ si può fare qualcosa”: di fronte alla foresta in fiamme mentre leoni ed elefanti scappavano, il colibrì volava verso il fuoco con una goccia d’acqua nel becco. Di più non poteva fare. Ma non si dava per vinto. E se facessimo tutti come il colibrì… Gianfranco Francioni - Chirurgo VEN 6 OTTOBRE - Per meglio spiegare tutto questo abbiamo organizzato una serata davanti a una Piada della Lella, pesce cucinato dai nostri pescatori, annaffiato con vino di qualità. La serata avrebbe dovuto svolgersi nel cortile del castello di Sigismondo Malatesta, che il Comune ci aveva concesso insieme al Patrocinio, ma ormai anche calendario e stagioni bisticciano. Così come il viandante sperso abbiamo chiesto - e ottenuto, come poteva essere diversamente- ospitalità a don Mario nella Chiesa di san Giuseppe alla sinistra del porto. Oltre ad Andrea Gnassi il Sindaco di Rimini anche il Vescovo Francesco Lambiasi ci onorerà della sua presenza. L’ingresso è libero, come la possibilità di sedersi a tavola o prendere la parola.