venerdì 21 settembre 2012

Il Miracolo

Al segretario federale Roberto Maroni è riuscito il miracolo. Nonostante gli scandali e le ingombranti eredità, la sua Lega Nord ha superato la tempesta. Ci credevano in pochi, ma il Carroccio è ancora in vita. Anzi, è persino tornato a crescere nei sondaggi. Le vicende del Cerchio magico e le polemiche sulla discussa gestione dei finanziamenti pubblici sembravano aver chiuso un’epoca. La Lega? In primavera molti la consideravano già un’esperienza legata al passato, da accantonare assieme alla seconda Repubblica. Si sbagliavano. Archiviate ampolle, elmi cornati e figuranti in costume, adesso il partito si rilancia. Tra molta diffidenza e qualche incredulità, anche dentro il partito, nei mesi scorsi l’ex ministro dell’Interno ha presentato ai suoi la strategia. Oggi i risultati sembrano dargli ragione. Maroni ha imposto una svolta drastica, basata su una semplice intuizione: per non scomparire, la Lega ha dovuto chiudere in soffitta il tradizionale profilo pecoreccio. Basta urli, insulti, parolacce e rutti. Una metamorfosi verso il partito sognato dal nuovo leader. Un movimento legato al territorio, ma non provinciale. Serio, competente e affidabile. Un interlocutore rispettabile, capace di avanzare proposte concrete. Insomma, una rivoluzione. Il battesimo della nuova Lega avverrà tra una decina di giorni, a Torino. Nel capoluogo piemontese Maroni ha organizzato gli Stati generali del Nord. Un confronto con il mondo produttivo settentrionale. Di fatto, il tentativo di creare un nuovo rapporto tra il Carroccio e il suo territorio. Si parte venerdì 28 settembre, con una serie di tavoli di lavoro. Al Lingotto, dove qualche anno fa già Veltroni lanciò il suo progetto per l’Italia, non ci saranno benedizioni con l’acqua sacra del Dio Po. Ma panel di discussione per «ascoltare» (è questo il termine più usato dai dirigenti quando raccontano l’iniziativa) la voce del Nord. Si parlerà di lavoro, welfare, impresa. La grande novità è il libro degli ospiti. Sono stati invitati a confrontarsi con il nuovo partito di Maroni il ministro Corrado Passera, i presidenti di Confindustria e Confartigianato Giorgio Squinzi e Giorgio Guerrini. Con loro tanti imprenditori ed esponenti del mondo bancario. Basta autoreferenzialità. Il giorno dopo l’incontro, le istanze delle realtà produttive del Nord saranno sintetizzate in un documento. Il manifesto del Nord. Che Roberto Maroni presenterà a curiosi e militanti. «L’obiettivo - spiegano - è quello di rivolgersi a tanti elettori che oggi non votano la Lega». E Umberto Bossi? Per l’ex leader padano che proprio ieri ha compiuto 71 anni non sembra esserci troppo spazio. «Agli Stati generali del Nord - ha chiarito ieri Maroni, ci saranno tutti i dirigenti della Lega, ma non sarà una carrellata di dirigenti». Insomma, se Bossi vuole venire è il benvenuto, rappresenta pur sempre la storia del partito. Ma non si aspetti applausi e celebrazioni. È la Lega maroniana. Via la canottiera, è il momento di giacca e cravatta. Basta imbarazzanti ricostruzioni storiche (Maroni presenterà il Manifesto del Nord alla Festa dei popoli padani di Venezia il 7 ottobre, ma in Laguna non ci sarà nessuna cerimonia dell’ampolla). Basta personaggi pittoreschi. Anzi, per formare una nuova classe dirigente partiranno a breve le scuole di formazione politica. Centri di preparazione organizzati dal partito a livello regionale, riservati alle nuove leve e ai giovani eletti dei consigli comunali. È finito il tempo delle provocazioni gratuite. La rinascita leghista passa anche, soprattutto, dal silenzio. Maroni ha avuto la capacità di non esporre troppo il movimento nel periodo più difficile, quando gli scandali erano al centro delle cronache e l’attenzione mediatica era più forte. E così l’ha preservato. Il risultato è incredibile. Con il clima di antipolitica che si respira ultimamente nel Paese, le torbide vicende dei lingotti d’oro e dei diamanti gestiti dalla tesoreria del Carroccio avrebbero dovuto far scomparire la Lega. Invece il partito è già tornato a crescere. Anche nei sondaggi. Dopo aver toccato il fondo, il Carroccio ha iniziato la lenta risalita. A inizio estate Maroni e suoi erano arrivati al 3,5 per cento (due anni fa il partito superava l’11 per cento). Oggi la Lega è accreditata attorno al 5 per cento. «Tra il 5 e il 6» ammette orgoglioso un dirigente di via Bellerio. Addirittura al 7,5 per cento, stando agli ultimi sondaggi di Nicola Piepoli. Il futuro è roseo. Nonostante le difficoltà, il partito è riuscito a mettere un’ipoteca sulla prossima legislatura. Qualche mese fa i parlamentari padani sembravano pronti a lasciare Roma. Ora la rielezione di molti di loro non sembra essere in discussione. Alle Camere è stato trovato un accordo per inserire nella riforma del Porcellum una norma ad hoc per salvare la Lega. I partiti sono tutti d’accordo. Un salvacondotto che consentirà di entrare a Camera e Senato a tutti i movimenti in grado di raggiungere l’otto per cento in almeno tre regioni. In pratica, solo il partito di Maroni. E chissà che una legislatura all’opposizione non possa riportare il Carroccio ai fasti di un tempo. Eppure la rivoluzione maroniana è destinata a far discutere. Per qualcuno la nuova Lega rischia di perdere il contatto con la gente, storico punto di forza del Carroccio. Non a caso nella base c’è chi si è lamentato per la decisione di celebrare la prima giornata degli Stati generali del Nord a porte chiuse. Ai vertici del partito ostentano tranquillità. Lo zoccolo duro dei fedelissimi non è in discussione, il partito di Maroni non perderà nessuno degli elettori (pochi) rimasti fedeli. Eppure qualcuno storce il naso, anche tra i dirigenti. Non tutti hanno gradito la svolta. In Parlamento ci sono ancora alcuni esponenti legati alla corrente sconfitta del Cerchio Magico, ma non sono gli unici a mormorare. Tra gli scontenti ci sono anche dirigenti maroniani della prima ora. Parlamentari dalle grandi ambizioni, finora rimaste tali. «Nulla di grave - precisa un colonnello del nuovo segretario - sono malcontenti inevitabili. Ogni volta che c'è un cambiamento, chi non conquista la poltrona a cui aspirava si lamenta». 

marco sarti linkiesta