martedì 13 ottobre 2015

Pietro Ingrao il Mistagogo

"Devo confessare che ci ho pensato, ho avvertito l'attrazione e la lusinga di una vita contemplativa. E mi sono trovato a fare i conti con un altro io rispetto all'uomo immerso nella concretezza della militanza nella politica, nella quotidiana ansia di fare. Di quella dimensione del convento mi ha attirato con la forza di una calamita il fascino per la contemplazione, per il silenzio. Mi piace il contatto con la materia del mondo; il profumo del mare, il cielo, la luce. E più di tutto il mistero allusivo delle nuvole, sempre in movimento. Quando qualcuno mi dice `ho la testa tra le nuvole', mi viene istintivo sempre lo stesso pensiero: beato lui!". (Pietro Ingrao).
Sulla morte del politico centenario, è già stato abbondantemente detto di tutto. Dalla sua svolta antistaliniana, alla "certezza del dubbio", da direttore dell'Unità e deputato per 10 legislatore a presidente della Camera nel 1968 e nel 1976, fino alla divisione che lo ha fatto confluire prima nel Pds e poi Rifondazione. Sorvolerei sulle sue lotte interne nel PCI, dal "suo c'è poco da fare siamo stati sconfitti ", fino al "pensavamo a una torre e scavammo nella polvere". Ma quello in cui mi vorrei soffermare è il suo approdo, dopo la fine del monolitico partito di sinistra, a un pacifismo radicale che ne ha fatto un difensore dell'articolo 11 della costituzione contro la guerra. Fino alla sua adesione alla nonviolenza di Aldo Capitini e Danilo Dolci. Il suo percorso è narrato nell'auto biografica "Volevo la luna", dove lo vediamo anche varcare i cancelli del convento di Montegiove sulle colline fanesi, che divenne per lungo tempo meta di laici di ogni risma. È li che si consuma quell'incontro straordinario con il camaldolese don Benedetto Calati. Questo Padre era riuscito a creare una specie di comunità allargata attorno al Vangelo, tanto da avere una cura particolare per i "laici" catturando così tra tanti, Rossana Rossanda ma prim'ancora Adriana Zarri, il filosofo Mario Tronti e da ultimo Pietro Ingrao. Insomma gli esponenti di quella sinistra che possiamo chiamare eterodosso- spirituale laica. Il suo motto aggregatorio:" la parola clericale deve essere "scomunicata! La laicità è la vera parola evangelica. Gesù è laico, e pure la sua Chiesa deve esserlo". Quello che li ha avvicinati penso sia stato proprio la concezione di poesia e fede di don Benedetto: "non c'è fede autentica senza poesia, senza la sua umiltà il divino non prende voce umana che è lo stile scelto da Dio per manifestare il suo amore". Da questo non possiamo di certo dire che Ingrao abbia mai abbracciato minimamente la fede, se non quella esclusiva della sua politica. Però il suo bisogno di meditazione, spiritualità e silenzio, è atteggiamento tipico di chi si pone in modo religioso riguardo alle domande esistenziali che attanagliano l'umano, che lo hanno portato dapprima a approdare alla poesia e conseguentemente a una ricerca spirituale senza un Dio che gli si sia mai rivelato. In quel consesso monasteriale dietro allo zampino di Italo Mancini si disquisiva di: coscienza, libertà, verità; identità e potere; morte e immortalità; peccato e colpa; giudizio, pena e perdono. Mario Tronti, filosofo e politico tra i principali fondatori dell'operaismo teorico degli anni sessanta, in un intervista si lanciò in un parallelo tra Ingrao e Giuseppe Dossetti, uno degli "autentici" padri costituenti divenuto poi fondatore dell'ordine religioso dei Dossettiani a Monteveglio: Tra Ingrao e Dossetti vi sono sicure affinità. Entrambi sanno guardar lontano. Entrambi hanno il gusto, il pathos della grande progettualità. Entrambi provano difficoltà con la prosa della politica quotidiana. Ma non se ne distaccano. Anche se l'uno fa teologia e l'altro scrive poesie». Proseguendo nel suo pensiero: «Il socialismo moderno nacque ateo e materialista e il comunismo, che veniva da molto più lontano, non seppe deviare il corso del fiume. Rimane un mistero perché cristianesimo e comunismo non si siano incontrati e, peggio, perché si siano così aspramente combattuti: una ferita della storia, che il grande Novecento, invece che sanare, ha tragicamente lasciato che addirittura sanguinasse. Il danno che ne è venuto per il futuro dell’umanità è tuttora incalcolabile». Quindi l'atteggiamento di Ingrao verso il cattolicesimo differisce da quello delle "istituzioni" cosi caro a Togliatti e a Berlinguer, il suo affonda invece nelle radici delle atipiche comunità cattoliche di base . Sicuramente Pietro Ingrao non sarà annoverato tra santi laici ma sicuramente tra i beati sì, visto la dilagante pochezza della democristianeria berlusconiana di cui sono pregni i "novelli "padri e padroni costituenti PD. Aggiungo che la loro sfacciata ipocrisia, ha spinto addirittura il "bulletto" di Firenze a stilarne un cordoglio poco più lungo di un "tweet", per la sua dipartita. Ma sono convinto che dovunque egli ritenga sia andato a finire non abbia di certo il tempo e la voglia , per leggere certe sconcezze! 
Il Teologo