lunedì 6 novembre 2017

Se Atene piange

Sparta non ride. Così potremmo titolare l’esito del voto regionale siciliano prendendo a prestito una famosa frase proverbiale (teatrale) di Aristodemo riferita alla guerra del Peloponneso. Sì perché, come paventato dal pronostico, adesso divenuto realtà, la sinistra, sia quella di lotta che quella di governo, nella sua duplice veste, ormai sdrucite, è uscita ampiamente perdente dal confronto e nessuna tiritera del pan e della pera ne cambierà il dato. Se M.d.P. piange il PD non ride o viceversa che si voglia. Il secondo esce ampiamente ridimensionato nei numeri e questi, come si sa, sono fondamentali in politica; il primo nel poco tempo avuto a disposizione non è riuscito evidentemente a far dimenticare, il pur smemorato popolo degli elettori come taluno asserisce, dell’appoggio fino a ieri conferito in Parlamento, sebbene con qualche mugugno e criticità, a tutti i provvedimenti governativi assunti. Cito per mera esemplificazione, senza intento d’essere esaustivo, il Job acts, la “buona scuola”, il “salva banche”… che hanno rappresentato nell’immaginario collettivo una inversione di tendenza valoriale rispetto alle battaglie consegnate dalla storia e ascritte dalla tradizione alla Sinistra italiana. Sinistra più che restia a dar significato a quel tempo, a conservarne lo spirito e le aperture anche mentale, dimenticando ed abiurando i termini di legislazioni, costati sudore e fatiche di padri e nonni, tutte rivolte alla tutela delle fasce più deboli della popolazione, le rivendicazioni e le lotte operaie, ma anche la tutela dei piccoli commercianti e degli artigiani. Se mi è concesso una metafora direi che l’abbraccio fra Renzi e Marchionne ha certificato, cristallizzando in atti la parafrasi, la resa incondizionata della passione politica tradizionale, collettiva e universalistica, dell’homo novus tanto vagheggiato, ormai tramontata in favore di un cammino e di una transizione voluta, consapevole e cosciente, quindi dolosa, verso l’approdo prettamente individualista dell’homo economicus, definitivamente, sì, abbandonando i concetti filosofici che hanno innovato l’orizzonte ideale del XX secolo. Il conseguente appiattimento di sistema che fa cinicamente dell’uomo un consumatore in una cornice in cui le ascisse e le ordinate non sono più date dallo spazio e dal tempo in cui si dipana la vita, ma da domanda e offerta e che individua – o vorrebbe farlo - l’apice della felicità umana nel possesso e nella proprietà, nel successo e nella fama ha sortito gli effetti sperati, consegnandoci una sconfitta profondissima a cui è stato cercato di porre rimedio con il conformismo. La sinistra si è conformata a quel modello nei suoi pensatori e nei sui politici, ha tentato addirittura di scalzare i suoi protagonisti legittimi cercando di assumerne i ruoli, gli atteggiamenti, azione politica e pensiero. Debbo dire che il fallimento è sotto gli occhi di tutti, perché alle copie scimmiottanti si preferiscono sempre gli originali. Del resto cosa poteva venir fuori forzando l’incesto ideale e programmatico di culture in antitesi?? L’una o l’altra avrebbe dovuto soccombere e per sempre. Trasferendo questo ragionamento che pian piano e scivolato più sul filosofico al politico, in un momento di profonda crisi culturale, di decadenza valoriale, che le pratiche trasformiste sempre più in voga conclamano ad un attento osservatore, l’operazione condotta non poteva che portare a far risorgere un centro destra finito per condotte personali e incapacità palesi in una crisi che pareva cronica, vieppiù nell’ambito di un assetto istituzionale anch’esso provato da pratiche tutt’altro che ortodosse, aggravate da una voluta incapacità di selezione e scelta delle classi dirigenti, che paiono vulnerare perfino il sistema deliniato dai Padri Costituenti che non hanno e non potevano prevedere una simile dinamica e la traiettoria discendente che le ogive degli interessi collettivi rappresentate dai partiti e dai corpi intermedi la società hanno assunto parossisticamente nel tempo. In questo scenario economico sociale la tattica attendista, a e di bassa tensione assunta dalla destra che si è servita di un partito in apparenza e temporaneamente di maggioranza relativa nei gangli delle istituzioni, alla stregua di un modello “cavallo di troia”, ha condotto a sgrimaldellare il sistema delle garanzie sociali, proprie di una visione social democratica, facendone assumere le responsabilità in capo proprio a chi da quella tradizione proveniva e da cui si sarebbe immaginato una loro difesa, a cui per le ragioni sopra citate invece hanno abdicato e rinunciato. E allora si comprendono le parole di un Alfano d’annata quando disse che il Governo, di cui ha fatto e fa parte senza soluzione di continuità, è riuscito ad esaudire quasi tutti i punti programmatici dell’esecutivo guidato da Berlusconi e/o dove aveva fallito, servendo sul piatto d’argento all’anziano leader non solo la possibilità di risorgere, ma finendo con tutta probabilità per consegnare ad egli un paese in cui potrà esasperare la sua vision. Un Capolavoro di tattica non so quanto tuttavia voluto, ma certamente efficace. Renzi nella sua smania di “rottamazione”, come ha chiamato Egli il tentativo di rinnovamento o svecchiamento, non si è accorto di essere riuscito a buttare anche il bambino con l’acqua sporca, di avere virato trasferendo su un terreno tutto di destra le sue politiche perdendo il consenso della base e perfino di quello “zoccolo duro”, erede di un tempo definitivamente terminato e sconfitto proprio da chi doveva rappresentarlo o esserne più vicino. Se non è un tradimento poco ci manca ed è certamente una Caporetto emotiva, strutturale, valoriale e di sistema che dal 4.12.2016 non fa che ricordare che una nuova sfida attende tutti noi: ricostruire la Sinistra dalla a alla z, stando attenti di non commettere l’errore di dimenticare i nostri avi, la nostra storia inclusiva a tratti, esclusiva per vocazione, e la nostra gloriosa e fondamentale tradizione a cui tanto e più di quello che si può immaginare la sempre nostra democrazia deve! Buon lavoro!
Roberto Urbinati