martedì 3 dicembre 2013

Morire per Kiev?

Ogni tanto il Cancelliere, giustamente, ci ricorda con i suoi articoli che il Mondo non ruota intorno alle sconcezze riminesi e italiane. E’ un po’ più grande e complicato, e i suoi problemi influiscono, eccome influiscono, anche su di noi. Ecco perché, sempre volentieri, pubblichiamo qualche suo articolo che “rompe” decisamente con gli standard abituali.

Morire per Kiev? 
La situazione attuale dell’Ucraina è il risultato di due decenni di un intensivo lavaggio del cervello. Da un lato, dopo il crollo dell'URSS, in Ucraina è stata allevata una generazione di elettori che crede fermamente che l'Unione europea sia una ONLUS benefica, e che le politiche europee siano delle magie capaci di trasformare l'Ucraina nella Renania con un semplice tratto di penna. E’ più facile che diventi la Calabria… Dall’altra parte, è aumentata la generazione di politici europei che crede fermamente che per la felicità di entrare nel “grande progetto di un'Europa unita” si possa (ovviamente dagli altri…) compiere qualsiasi sacrificio. In questo senso, vedono qualsiasi sostegno economico concreto, all’aspirante al paradiso come pura arroganza e blasfemia. In Italia ne sappiamo qualcosa…in Grecia pure. Se mettiamo da parte le emozioni, il filo conduttore della reazione dei politici europei sulla decisione del presidente Yanukovich di non firmare l’accordo di associazione con la U.E. può ridursi allo slogan “Non osate contare i soldi!”, né chiederne! “Deve bastarvi la felicità!”. “Siamo consapevoli della pressione che l'Ucraina sta subendo dall’esterno, ma riteniamo che i motivi contingenti non dovrebbero superare il beneficio a lungo termine del partenariato con l'UE”, hanno affermato in una dichiarazione congiunta il Presidente della Commissione europea e del Consiglio europeo José Manuel Barroso, e Herman Van Rompuy. Come ha fatto notare il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden in una conversazione con Yanukovich: “Gli Stati Uniti sono convinti che l'integrazione dell'Ucraina con l'Europa offra un'opportunità strategica per rafforzare la democrazia e l'economia, e per condurre il paese alla prosperità”. È significativo che la dirigenza ucraina sia accusata di mercantilismo, per non parlare dei mitici “benefici economici” che l'Ucraina dovrebbe ricevere dalla presunta associazione con l'UE. Ma, nel frattempo, nessuno offre all'Ucraina i soldi per modernizzare l'economia, chiedendole invece contemporaneamente di “chiudere” i rapporti con la Russia, suoi principali partner e unico sbocco effettivo dei prodotti ucraini. In realtà, i politici europei erano abituati, fino a pochi anni fa, a lavorare in condizioni di crescita economica e con un sistema bancario stabile. Dopo l'integrazione dell'Europa orientale nella UE i prestiti convenienti e accessibili da parte delle banche occidentali hanno mitigato temporaneamente gli effetti negativi della deindustrializzazione e del crollo reale dell'economia, provocando negli abitanti dell'Europa orientale l’euforia per il “successo economico della cooperazione con l'UE”. Ora in pochi anni l’euforia si è trasformata in una sbornia triste: vecchie fabbriche distrutte o svendute, infrastrutture distrutte, e il settore dei servizi, che aveva fornito la domanda per i prestiti, ora non può garantire la crescita. Il “miracolo economico” è giunto al termine e non si ripeterà anche perché, in realtà, non è mai esistito. Questo avviene per i “nuovi” Paesi dell’Est (Bulgaria e Romania), ma in contemporanea si è proceduto allo smantellamento dei “vecchi” Paesi mediterranei (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), fondatori della U.E.. La reazione degli utenti dei social network in Romania alla decisione di Yanukovich è indicativa. Una parte considerevole invidia gli ucraini perché in Romania non c'erano politici in grado di valutare le conseguenze della convergenza con l'UE prima che questa cominciasse. È incredibile vedere quanto diverse siano state le opinioni dei politici europei per il “consumo interno” alle dichiarazioni degli “eurointegratori”. Il consigliere del presidente rumeno per la sicurezza nazionale, Iulian Fota ha recentemente dichiarato alla stampa locale che “Bruxelles è semplicemente distaccata dalla realtà, e si trova ora ad affrontare le gravi conseguenze della sua incapacità di pensare in modo strategico. L’UE sta diventando priva di significato per l’Europa orientale”. Infatti i cittadini di questi Paesi sono costretti all’emigrazione in massa per sopravvivere. La riluttanza di Bruxelles ad aiutare economicamente i suoi nuovi vassalli dell'Europa orientale porta anche i più fedeli e stoici fra loro a cercare finanziamenti altrove. Al posto dell'UE in Europa orientale, ci sono ora la Cina e la Russia. Tuttavia, i governi russofobici in Polonia, paesi baltici e Svezia stanno facendo di tutto perché l'Ucraina rimanga isolata da questo processo europeo. Intanto i paesi che già ci avevano sguazzato, stanno cercando di trascinare l’Ucraina nella stiva del Titanic europeo, mentre questi invece abbandonano la nave, aggrappandosi agli investimenti cinesi e russi (Italia e Francia in primis!). I russofobi europei hanno subito una serie di sconfitte geopolitiche. Oltre alla “inversione di marcia” dell’Ucraina, nelle ultime settimane è iniziata la costruzione del “South Stream” in Serbia, e anche la Turchia ha firmato i documenti di adesione. Ma la ferita più dolorosa è stato il summit “Cina- Europa dell'Est” svoltosi a Bucarest. Il desiderio della Cina di negoziare investimenti con i paesi dell'Europa orientale senza la partecipazione di Bruxelles, ha provocato molta rabbia tra funzionari europei. Il Commissario europeo De Gucht ha affermato che la Cina sta usando contro l'Europa la tattica del “divide et impera”. Gli uffici della Commissione hanno inviato ai quindici paesi partecipanti due circolari contenenti dei veri e propri ultimatum, vietando di firmare accordi separati con la Cina. Il risultato di questa pressione è stato pari a zero. I Paesi dell'Europa orientale hanno firmato un numero record di contratti, e le loro politiche hanno colto l'occasione per dimostrare a Bruxelles che parlare di valori europei non potrà mai sostituire gli interessi veri di paesi che lottano per sopravvivere, nonostante Bruxelles. Quando sulla “pubblica piazza europea” i sostenitori dell’associazione con l'UE hanno gridato “Ucraina- Europa!”, sventolando le bandiere della UE, dalla sala del consiglio al Parlamento rumeno sono state tolte le bandiere dell'Unione europea, e sostituite con le bandiere della Repubblica popolare cinese. Volevano compiacere il premier cinese, che ha portato denaro reale a Bucarest, e non la promessa de “la dolce vita nella famiglia europea”. Tra i politici dell'Europa orientale è diventato di moda contare i soldi, e i fan ucraini dell’Europa possono tirare un sospiro di sollievo: l’Ucraina è perfettamente in linea con la generale tendenza europea. Comunque, scrivendo questo pezzo di stretta attualità, vista la preguerra civile che stava scoppiando in ucraina, mi è venuta in mente la conclusione che il noto politologo J.P. Husson scrisse in un brillante articolo sul numero di ottobre 2008 (n.b.: 2008!) di R.D. “Rivista Italiana Difesa”. La sintesi era questa: non possiamo sapere quando scoppierà la prossima guerra, ma possiamo sapere già dove: sarà in e per l’Ucraina. Lo crediamo anche noi, specialmente vedendo quello che sta succedendo in queste ore. 
 Il Cancelliere