domenica 5 gennaio 2014

Abbagliati Dal Nulla

Rimini, città con vocazione turistica? Ho apprezzato, lo show del Capodanno a Rimini, senza troppo entusiasmo, vi spiego perché. Questa città presenta molte contraddizioni, un approccio alla soluzione dei problemi superficiale e una costante, inspiegabile mancanza di oggettività, nell’osservazione della realtà. A fronte di un circo pirotecnico (quello di capodanno), apparentemente degno di Hollywood dei tempi migliori, si contrappongono un decoro della città ed uno sviluppo urbano utile solo alla redazione di un manuale dal titolo “Tutto quello che deve essere fatto per non avere qualità urbana”. Eccone alcuni esempi: Le uscite autostradali sono obsolete, prive di segnalazioni e decori chiari, non lasciano presagire nulla di bello e non danno alcuna indicazione sulla vocazione turistica e marinara della città. La viabilità è difficoltosa, congestionata e non invita a lasciare l’auto per intraprendere percorsi ciclabili e pedonali, assolutamente migliori per uno spostamento dolce, per scarse indicazioni su parcheggi e punti di affitto dei mezzi a due ruote. Al di fuori del Centro Storico, il Borgo S. Giuliano e solo parzialmente Marina Centro, non si percepisce e non si vive una qualità urbana, fatta di piazze, strade e monumenti, e le zone residenziali esterne al centro storico solo raramente presentano qualche centro d’interesse. Eppure i rappresentanti delle categorie e delle istituzioni, parlano di un modello turistico esemplare da imitare e replicare, ma perché? I tempi sono cambiati, il mondo è cambiato ed anche le persone sono cambiate, invece di proporre, sviluppare ed incrementare un disegno di sviluppo dell’ambiente partendo dalle caratteristiche storiche, morfologiche e culturali di un territorio ed una popolazione fiera delle sue tradizioni, ci si rivolge sempre ed indiscriminatamente verso una modernità importata vuota di contenuti e priva di riferimenti all’identità del territorio e delle persone. Il centro storico se pesantemente pedonalizzato e fortemente recuperato e ripristinato, con due giorni di mercato settimanale all’interno delle mura, con aree di utilizzo distribuite in prossimità dei centri d’interesse ( tre martiri, cavour, ferrari, tempio, pza gramsci ), potrebbe facilmente diventare un centro commerciale a cielo aperto, un centro culturale di aggregazione, un salotto ed un luogo naturale di ritrovo a misura d’uomo. Se gli esercizi commerciali avessero una densità equilibrata, piani di decoro unitari e coerenti e venisse posto un limite ragionevole per entrambe le parti, agli affitti esosi ed alle varie gabelle decisamente bizantine e medievali. Con il coinvolgimento degli operatori, della popolazione residente e anche di quella non residente (il centro e la città sono un bene comune) agli eventi organizzati nel corso dell’anno, la responsabilità ed il senso civico si formerebbero ed avrebbero il sopravvento su ormai inutili e desueti interessi parziali. Inoltre tali eventi dovrebbero essere concordati con la popolazione e distribuiti sia temporalmente che geograficamente a tutte le aree della città per creare nuovo urbanesimo e senso di appartenenza comune. Altro esempio sulla capacità di osservazione della realtà per plasmarla a situazioni più utili e favorevoli, è quella del Palas e della Fiera. Dato il perdurare di una crisi, economica, sociale e ambientale si richiedono interventi immediati e soluzioni che presentino novità anche negli obbiettivi da raggiungere, e fantasia negli strumenti da utilizzare. Dato che queste realtà sono partecipate del comune e che tutti i cittadini per vent’anni ne pagheranno i costi e le “conseguenze”; una soluzione di buon senso e di grande lungimiranza e di indubbia utilità sociale, potrebbe essere di utilizzarle 365 gg all’anno, per sviluppare e contenere eventi creati dalla cittadinanza e dalle associazioni di qualsiasi fazione esse siano. Lasciare convivere i ridotti eventi fieristici con la realtà della città, centri per attività ludiche e sportive permanenti, mostre e chi più ne ha più ne metta. Gestione della Fiera e del Palas con azionariato pubblico popolare e programmazione concordata in forma partecipata in modo da coinvolgere l’intera città “provvedere” agli eventi utilizzando a rotazione diversità presenti in città garantendo solidalmente una ripresa economica ed una solidarietà sociale. Questo difficile passaggio sarebbe di portata storica, responsabilità civica, senso di appartenenza e sviluppo di amor proprio collettivo per la città e l’ambiente, humus per formare un livello civico d’eccellenza, umana prima di tutto. Altra contraddizione sono gli sproloqui, le visioni e le suggestioni urbanistiche, invece di analisi ed interventi con la politica dei piccoli passi alla formazione di un piano urbanistico e una qualità urbana vera, condivisa ed accettata dalla popolazione, per la sua semplicità, normalità, ma soprattutto per i suoi pregi nel fornire risposte utili e necessarie a problemi reali. Vorrei un documento di pianificazione urbana che abbia un disegno urbano ed un’architettura “civile”; condiviso con i cittadini, che valorizzi e preservi i luoghi con rilevanza storica culturale e sociale, sia dal punto di vista ambientale/naturalistico che dal punto di vista civico, storico/identitario. Vorrei tramandare e rispettare le caratteristiche naturali, i prodotti, i luoghi, gli edifici, gli spazi tipici e su questo creare una città a consumo zero, turistica perché i foresti visitano la “Romagna” e non qualche edificio o spazio international dubai/shangai/Chicago style, (peraltro realizzabile senza problemi, se non disintegra le casse pubbliche). Rinunciare a costruire, per qualche anno e rinnovare l’esistente in modo sistematico, un pezzettino alla volta su un piano generale condiviso e perseguito da tutti, con delicatezza, gentilezza e coerenza oltre a fornire una risposta immediata alla crisi del settore contribuirebbe a restituire valore ad edifici ed aree esistenti. Non è tempo di realizzare nuove grandi infrastrutture e costruzioni, ma di preservare il territorio rimasto, il mare e l’entroterra agricolo e boschivo e migliorare “drasticamente” l’ambiente. Il recupero ed il ripristino del costruito esistente, che nell’ 80% dei casi conviene, va eseguito subito con criteri di sicurezza (sismica ed igienica), di contenimento energetico(economia e socialità) e decoro urbano (identità e riconoscibilità), sono le priorità, per restituire qualità ambientale, solidarietà sociale e risorse economiche moderate ma costanti ad un territorio stuprato per anni con consumo illogico ed ormai sinceramente, insostenibile ed indifendibile. Qualità ambientale, fogne, viabilità, sostenibile, carrabile, ciclabile e pedonabile, Architettura ed edilizia rinnovabile questa è la sfida che indipendentemente dal colore politico e dalle ideologie (ma quali? Se ancora ve ne sono?) va intrapresa con immediatezza e vigore. A tante chiacchiere ancora non sono seguiti i fatti. Dopo l’adozione ed il ricevimento delle osservazioni al “nuovo PSC” (ORMAI VECCHIO, oltrechè discutibile, parecchio discutibile sia nella forma che nella sostanza), ancora nel cassetto, il cittadino, ma sarebbe più giusto chiamarlo servo della gleba è ancora in attesa di risposte e di sistemi (che il psc non fornirà) per effettuare interventi con pratiche meno medievali, più agili e contemporanee. Intanto l'economia muore, la popolazione s’impoverisce e inquieta, il territorio si deteriora e l’ambiente peggiora giorno dopo giorno. Mentre l’indotto dell’edilizia sta morendo, vengono deliberate nuove varianti, bocciate anche dal Tar (notizia tenuta ben compressa), l’unica possibilità per evitare nuovo consumo di territorio è chiedere varianti al vecchio PRG, nella speranza di vedere accolte e discusse attraverso una partecipazione (anche con esperti) degna di tal nome, poche semplici ed immediatamente attuabili norme. Ma invece di discutere ed emanare provvedimenti immediati che diano respiro e semplifichino in modo contemporaneo e civile le pratiche a favore di interventi per migliorare decoro e ambiente, anche con incentivi e agevolazioni, non assistenzialismo e contributi. Si propongono visioni strategiche più simili a divagazioni oniriche, come ad affermare o riconoscere l’inutilità, l’inconsistenza o l’impalpabilità del PSC nuovo ma già vecchio. Ed inoltre questi documenti di pura pianificazione non sono attuativi. Alla confusione urbanistica esistente ed alla pochezza del Psc, visto che non lo si approva (speriamo mai), si aggiunge la confusione linguistica, ma se siamo in Italia perché Masterplan? Ed il Masterplan che di per sé è uno strumento di preciso disegno della città, di spazi ed edifici, perché si esplicita con visioni e suggestioni? Quindi per cortesia, voliamo bassi, anche perché l’aeroporto è in bilico, ed impariamo ad esercitare la politica con il metodo dei piccoli passi. Migliorie ed interventi di piccole dimensioni, finanziabili, con copertura di risorse e sostenibili. Per poter tessere una coperta, abbastanza ampia e calda, da accogliere tutti i cittadini. Per la prima volta nella storia dell’uomo restituiremo ai nostri figli un ambiente peggiore e risorse inferiori a quelle ricevute dai nostri predecessori. Ve lo chiedo per favore, fermatevi e confrontatevi, siete solo dei dipendenti dei cittadini ed il tempo dei vassalli è concluso da un pezzo.
 Fausto Battistel Architetto