venerdì 31 gennaio 2014

Le Cose che Restano

Se c’è una cosa che mi ha profondamente colpito, fin dai primi passi nella politica, è la differenza tra quello che si dice, ciò che si rappresenta formalmente, e quello che in realtà si fa. Potrei tranquillamente ascrivere a questo corto circuito tra il dire e il fare il motivo per cui esiste il Movimento 5 Stelle e il mio stesso impegno di portavoce. Parliamoci chiaro: se in politica quello che si dice fosse sempre uguale a quello che si fa i cittadini avrebbero sempre il modo di verificare e preferire senza venir chiamati a questa, ormai indispensabile, partecipazione diretta. Esistono però casi in cui la differenza tra quello che si dice e quello che si fa è talmente aberrante da costituire indizio di pericolosa doppiezza e di allarme, perché fino a che si coprono ambiguamente i propri interessi è un conto, ma quando in ballo ci sono dei gesti di inciviltà fatti da un parlamentare bisognerebbe fermarsi a riflettere, tutti. Mi riferisco alla manata che l’ex Magistrato e Questore della Camera Dambruoso ha tirato a Loredana Lupo. Guardando il video che riprende il suo gesto,l’espressione dei suoi occhi nel momento in cui decide di far partire la manata,il modo in cui tenta di camuffarla con la posizione del corpo e del braccio,l’impatto, i capelli di Loredana che tremano quando arriva il colpo ….. e di nuovo lui che le si avventa addosso come se volesse continuare, provo un freddo dentro che costringe a trattenere il respiro. E’ proprio questo il cortocircuito. La differenza tra il dire e il fare. Come si può pretendere di rappresentare una “scelta civica” per il proprio Paese e poi abbandonarsi a simili atti? Forse l’Onorevole Stefano Dambruoso il 21 febbraio, nel suo intervento da relatore al convegno sugli aspetti teorici e le prime applicazioni della legge 119, a contrasto della violenza di genere, spiegherà perché ha preferito tirare una manata che ha fatto saltare via una lente a Loredana, piuttosto che, più semplicemente, frapporsi tra lei e il banco che voleva raggiungere. La differenza di stazza fisica glielo concedeva senza neanche impegnarsi. Il resto di questa storia, compresa la denuncia che l’Onorevole vorrebbe compilare nei miei confronti, appartiene ad un carosello di meschinità che faccio fatica a commentare, ma da cui non mi esimerò perché me ne si chiede conto. Le frasi che ho riportato su facebook, Dambruoso, dice di non averle dette; come pure diceva, cito testualmente, “escludo assolutamente lo schiaffo” e, prima che le telecamere del TG la 7 lo inchiodassero, “contatto fisico per bloccare un'aggressione alla Presidente Boldrini.” Delle cose che ha detto, purtroppo per lui, ci sono i testimoni e anche l’altra frase, sentita da almeno una decina di persone, “la violenza chiama la violenza” sembra proprio la tipica reazione di chi, colto in un vergognoso istinto di sadica sopraffazione, voglia difendere l’indifendibile. So che il PD ha già preso le distanze dal vile atto. Non so se c'entra il fatto che questa sia un’insperata distrazione dal come si stanno aggirando i regolamenti della Camera, ma spero di no. Spero che, come me, tutte le donne del Parlamento non si lascino distogliere dalla gravità di quello che è successo e che pretendano la fine dell’ambiguità, almeno su una questione così importante. Basta ambiguità. Ricostruiamo il giusto rapporto tra ciò che si vuole rappresentare e quello per cui si lotta con i fatti. Se il Parlamento Italiano e tutte le sue rappresentanze politiche sono contro la violenza di genere, Stefano Dambruoso deve rimettere il suo mandato nelle mani di chi lo ha eletto e si deve dimettere. Qualsiasi altra scelta è sbagliata. Qualsiasi altra scelta genera ulteriore ambiguità. Qualsiasi altra scelta è una giustificazione per chi considera la violenza fisica un’alternativa percorribile e questo sarebbe inaccettabile. 
 Cittadina Portavoce
 Giulia Sarti Movimento 5 Stelle