giovedì 9 gennaio 2014

Il Cancelliere: Italian Shale

Caro Lugaresi vedo, con piacere, che la mia risposta alla tua richiesta di commento sullo shale gas ti ha stimolato ad un approfondimento. Il tuo articolo di lunedì già contiene molti spunti cui cercherò solo di dare ordine. Si vede comunque che hai studiato... e ti sei letto ben benino molta, non tutta per fortuna, la pubblicistica che su questo argomento si è creata, soprattutto dal 2012 direi, su Internet. In sintesi gli argomenti a favore del gas di scisto e della sua tecnologia di estrazione (le due cose sono spesso confuse nel binomio shale/fracking) sono: 1) la prospettata indipendenza dell’occidente dal colosso gassifero/petrolifero russo con conseguente ipotesi di indebolimento/crollo del governo Putin attraverso un brusco ridimensionamento del valore economico di tale produzione e di tale economia. E’ l’obiettivo geopolitico apertamente prospettato dagli americani e dai loro più fedeli alleati polacchi, e, meno esplicitamente, dagli inglesi. 2) Quanto al resto dell’Europa, Italia in testa, si preme a favore di questa nuova fonte non convenzionale, almeno ufficialmente, solo per motivi economici. Far calare il prezzo dell’energia avrebbe, almeno nelle speranze, un impatto positivo sulle disastrate economie europee. Il rebound geopolitico sulla Russia putiniana, almeno ufficialmente, ripeto, viene ignorato e si punta molto sul “miracolo economico” che sarebbe prodotto dall’uso intensivo di questa fonte energetica. Veniamo ora alle prospettive negative: 1) inquinamento delle falde acquifere profonde. E’ il cavallo di battaglia degli ecologisti. Infatti la frantumazione delle rocce scistose (fracking appunto) avviene attraverso l’uso di getti di acqua ad altissima pressione addizionata con una miscela a brevetto Chevron che “amplifica”, per così dire, tale frantumazione. La composizione segreta della parte “additiva” è guardata con sommo sospetto dagli ambientalisti specie per i possibili effetti sulle falde acquifere. Più o meno sullo stesso livello è l’ipotesi, prospettata sempre dalle forze ambientaliste, di microterremoti durante e/o dopo le frantumazioni delle argille scistose. 2) Posizionamento dei residui: parliamo delle enormi quantità di rocce frantumate durante il processo. Negli Stati Uniti vengono semplicemente lasciate lì sul posto. A formare grandi campi di scorie. Qui sta una prima grande differenza problematica con l’Europa (specie occidentale) “antropizzata” e priva delle estensioni territoriali della realtà americana. Un trattamento e riposizionamento delle scorie è fuori discussione diventando una discriminante di costo che renderebbe antieconomica tutta l’operazione estrattiva. 3) La “durata” dei giacimenti: trattandosi di un’energia non convenzionale è una grande incognita. Forse quella vera, tenendo conto che le prime due possono essere bypassate attraverso un’opportuna attività di lobbying (oltreché essendo la prima priva di evidenze scientifiche data anche la novità delle tecniche di cui parliamo). Sulla durata e quindi sulla convenienza dei giacimenti di gas di scisto esistono opinioni estremamente discordi anche se fondamentalmente il problema è più che altro connesso alla morfologia e, come detto, all’antropizzazione e all’abbondanza d’acqua necessaria per la fratturazione idraulica. In ogni caso occorrono investimenti molto alti per rendere economico questo tipo di energia. Ad esempio nei trasporti. Il gas negli Stati Uniti si avvale della grande rete ferroviaria esistente. In Europa, specialmente in Italia, occorrerebbe costruirla. Questa attenzione nei confronti degli aspetti economici dello shale è particolarmente acuta proprio negli Stati Uniti e proprio per il fatto che lì non esistono “limiti” e particolari sensibilità ambientali. Esistono invece sensibilità economiche molto forti. L’elemento di maggior preoccupazione è stato dato dal fatto che nel primo semestre del 2013 vi è stato un notevole, anche se poi parzialmente recuperato, abbassamento del valore degli asset connessi a questo tipo di industria estrattiva. In parole povere i giacimenti rendono meno del previsto a causa del prezzo troppo basso e le molte, troppe aziende che hanno investito hanno difficoltà a procedere a nuove trivellazioni per mantenere un livello accettabile di profitto. Questa criticità segnalata da Bloomberg (che paradossalmente sul punto si è avvicinato alle tesi degli ecologisti...!) può essere, anzi, è affrontata in due modi: attraverso una politica di “concertazione” dei produttori riducendoli di numero e rendendoli così finanziariamente più forti. Finanziando le estrazioni, soprattutto nuove, con “pacchetti” di derivati (già presenti sul mercato finanziario) che cerchino nel pubblico dei piccoli investitori e dei Fondi pensione, le risorse ora necessarie, per proseguire nel “miracolo” del gas di scisto. Pregi e rischi di questo sistema sono troppo evidenti perché mi dilunghi di più. Basterà dire che, in questi derivati finanziari, (piazzati sul mercato con altri asset) potrebbero essere “incorporati” giacimenti sovrastimati (in riserve e prezzo) tali da fare impallidire i famigerati subprime del 2007/2008. Potenzialmente il rischio c’è ma è presto per dirlo. Se vuoi il mio punto di vista personale (ma è davvero “a fiuto”...) la criticità vera è quella economica, cioè il punto 3). Quelle ambientali del punto 1) sono al momento prive di prove. Quella “visiva” (punto 2) è evidente, ma in fatto di scempi paesaggistici in Italia abbiamo poco da dare lezioni.
Il Cancelliere