giovedì 12 novembre 2015

Ancora sul caso Wada

Scorrendo i giornali e ascoltando e vedendo le TV, sul caso WADA, possiamo dare qualche aggiornamento al magnifico quadro fattoci ieri dal Cancelliere. Innanzitutto sui giornali, sia anglosassoni che degli stati vassalli, Europa e Canada in particolare (per motivi propri di questo Paese, nel quale è presente una grossissima minoranza di discendenti dei collaborazionisti ucraini della seconda guerra mondiale, che ha, nel nuovo governo, addirittura due Ministri) continua la campagna per l’esclusione di tutti gli atleti russi dalle Olimpiadi di Rio e per la riassegnazione a Londra, togliendola a Mosca, dei Mondiali di Calcio del 2018 (per ammortizzare i costi dei megaimpianti delle Olimpiadi 2012, altrimenti impossibili da sopportare). Sin qui niente di nuovo, anzi vi è stato un entusiastico intervento di Obama a sostegno della richiesta di esclusione da tutte le gare sportive del proprio “nemico esistenziale” russo. Vi è però qualche piccolo aggiustamento del tiro: sono quasi scomparse le richieste di cancellazione dei passati medaglieri URSS/Russia/DDR. Tale richiesta, apparsa il primo giorno, forse è sembrata un po’ troppo anche a questi “guerrieri” dell’ “Impero del Bene”. Quello che però si nota, almeno nei giornali italiani, è l’ammissione che i casi “sospetti”, quantomeno nell’atletica, sono molte migliaia. Anche se, bisogna dirlo, nella parte pubblicata del dossier WADA, mancano totalmente le prove (!!!). Ovviamente, se si tratta di migliaia di soggetti, non può trattarsi solo di atleti russi, non solo perché il primo rapporto WADA cita alcuni casi vecchi di anni, ma soprattutto perché anche un colosso sportivo come la Russia non ha, nell’atletica leggera, migliaia di atleti di interesse. Al massimo può arrivare a 400/500. Chi sono gli altri che la Wada nasconde con la scusa di procedimenti penali pendenti? In proposito, un certo effetto ha fatto la contromossa puramente iconografica, ma efficacissima, operata sul web, di mettere a confronto le atlete americane con muscoli da sollevatori di pesi con quelle russe che normalmente sembrano delle indossatrici. I casi più belli sono quelli delle sorelle Serena ed Venus Williams e, ancor di più (anche se dimenticato) della defunta Florence Griffith. A beneficio di chi fosse troppo giovane, ricordiamo che la Griffith partecipò ai mondiali di Roma dell’ ’87 senza neanche essere notata, salvo che per il suo look originalissimo (una tuta rosa shocking). L’anno dopo, alle Olimpiadi di Seul, invece, vinse i cento e i duecento metri con dei tempi ancor oggi inavvicinabili per le donne (10,49 sui cento metri e 21,34 sui duecento metri). E, soprattutto, lo fece camminando per l’ultimo terzo di gara e mostrando a tutti, salutando e ridendo, le unghiette rosa. Se avesse corso per davvero tutta la gara, sui cento avrebbe ottenuto un 10,1 – 10,2 e sui duecento sarebbe andata sicuramente sui 20,7 – 20,8, tempi coi quali ancor oggi si possono tranquillamente vincere gli assoluti maschili italiani e, comunque, si arriva alle semifinali maschili alle Olimpiadi. Il caso della Griffith è certo il più grave (nonostante i muscolacci delle Williams), anche se la sua misera fine, proprio per doping, l’ha fatta dimenticare. Perché dimostra, insieme ai casi BALCO, Amstrong, Lewis, Montgomery e tantissimi altri, che la patria del doping sofisticato sono proprio gli Stati Uniti. Un “Impero del bene” che non fa così bene. 
 Woland