lunedì 23 novembre 2015

L'ottavo cerchio

Un lungo anno di assenza mi separa dai destini e dagli eventi della Rimini politica e pubblica: gazzarra e quieta, contraddittoria e coerente, peccaminosa e penitente, fantasiosa e banale. L'ho ereditata così, l'ho lasciata così, e la ritrovo così. E' l'anima e l'essenza di questa terra che si affaccia sull'adriatico ad essere così; credo sia per l'effetto dei vapori metabolizzati dello iodio. La cosa migliore è ripercorrere le strade che conducono al decumano, fino ad incrociarmi con il cardo e porre quiete alla mia foga di arrivare al forum. Sarebbe anche un bel percorso storico ed artistico, se non fosse che continuamente inciampo in qualche cantiere dimenticato dagli uomini e da Dio. Anzi...lasciamo stare Dio e concentriamoci sugli uomini. Torno ai cantieri che gravitano attorno alla città, con talpe che divorano improvvide le fondamenta e assi mediani che spaccano e dividono la quiete di interi quartieri, così tanto da farmi perdere l'orientamento e la rotta alla quale attendevo. In qualche modo arrivo al Malatesta transennato, quasi incatenato da una povera rete plastica, denudato nelle proprie fondamenta alla ricerca di non si sa bene cosa.... Un fossato non fa castello quanto una rondine non fa primavera, quanto non è un giardino che fa piazza o cultura. Mi soffermo a questa vision raffigurata da un idilliaco rendering quasi da - mulino bianco -, eppure il buon senso mi direbbe che prima di affrontare onerosi investimenti si saggiano i contenuti. Ma anche questo è un'ordine ed uno stile di pensiero che hanno solo coloro i quali hanno esperienza comprovata di - Impresa -, e sono abituati soprattutto ad usare il proprio portafoglio ed il consueto lato B in cui viene riposto: uno non esclude l'altro. Proseguo questo cammino, sempre più assorto nei miei pensieri, quasi a chiedermi se non fosse stato il caso di farmi accompagnare da un Virgilio dantesco, ed ecco che mi sento risuonare all'orecchio uno strano vociare, un chiacchiericcio più somigliante alla caciara di mercato; affino lo stanco udito fino a sentire quasi la voce di Pandolfo sussurrare al Poletti : - Mha va in te casein!. Non ho voluto ascoltare altro, ma se sono questi i dialoghi attesi fra la rocca ed il teatro... Lascio che il mio sguardo attonito, remiri l'ingegno costruttivo dei mastri fabbri alle prese con il Poletti, a sostegno dei quattro muri senza valore, senza anima, senza un compendio architettonico di rilievo tali da non poter essere ricostruiti tali e uguali a prima: anzi, sicuramente più edificanti e migliori di prima. Eppure, capisco e comprendo che in nome di una poltrona alla Sopraintendenza delle Belle Arti ed in nome del Lavoro e dell'economia altrui, tutto sia lecito e consentito lasciando incontrovertibile il fatto che nessuno mai chiederà conto alla spesa. Solo in quel momento mi accorgo e mi incanto di essere davvero in un girone dantesco dalla via smarrita, e credo di conoscerne anche il titolo : il girone dei vanitosi. Se non ricordo male fanno tutti una brutta fine... Conscio che ormai quel cammino era diventato un tour dantesco, fatto di cerchi e gironi, di anelli verdi e dialoghi improbabili, lascio che la mia gola arsa se non la mia stessa delusione, si possano dissetare al bar della Pigna, dove almeno li, trovo ancora qualcosa di trasparente e (forse) pulito. Mi sciaquo la bocca, quasi a volermi ingollare dalla delusione degli intenti, ma ecco che il silenzio atavico delle mura del Podestà si fa ora denso e pieno di schiamazzi, e guardando al di sotto degli archi gotici, vedo una grossa pietra sulla quale dei bianchi glutei nudi sbattono alle grida di - cedo bonis! - (cedo i miei beni). - Ne avrei tanti di culi da sbatterci sopra - penso. Uhm...mi desto sorpreso dalla surreale visione: forse l'acqua della Pigna non è più schietta come una volta, o forse è diventata dispensatrice di altra roba sebbene all'arco di aVgusto (non è un errore, è fonetica indigena) ci sia maggiore scelta.... Mi lascio sedurre da questa orgia di vision, confortato dal primo cittadino che ne fa ampio uso e consumo, e desto mi dirigo all'anello meno verde e più somigliante all'ottavo cerchio : le Malebolge del Consiglio. Mi lascio entrare, quasi a farmi infagocitare e precipitare come corpo nudo a terra cade, senza riparo e senza remora di quanto possa accadere. Mi soffermo alla vista teatrale degli sguardi e delle posture assorte ma vuote di se, come nelle stesse parole inflitte sui destini del popolo sordo e muto, e lascio che lo sguardo scorga ad ogni passo la singola bolgia del grande cerchio dell' Agorà : i ruffiani e i seduttori, gli adulatori e i lusingatori, i maghi e gli indovini, i seminatori di discordia, i consiglieri fraudolenti, gli ipocriti e i ladri, i barattieri ed i falsari; quasi come sull'arca di Noè, non manca nessuno. Desolato e affranto di siffatta visione infernale, lascio cadere il malinconico sguardo a Dante Tamburini e Beatrice Franchini chiedendo loro: Ma non eravate voi nel Paradiso? In tutta risposta mi sento dire: Noi siamo usciti fore del maggior corpo, al ciel ch'è pura luce: luce intellettual, piena d'amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore. Preso dalla confusione dei cerchi e degli anelli, senza più distingurne forma e colori, lasciandomi l'eco delle solite meline morolliane ed enfasi gnassiane, proferite a piene mani come menzognere verità, mi sottraggo dal luogo e torno al mio cammino. Mi dirigo veloce verso la dimora, come stanco viandante procede, fino ad imbattermi al prossimo cantiere: via Valturio. Sospendo il mio cammino, guardando con piacere il celere lavoro degli edili, non proprio contenti ne dell'urgenza ne dell'orario, e con l'ultima meditazione della notte penso : Lè proprì sa un camion ad bresha, cus'fa un sendac! 

Ernesto Reali