mercoledì 27 agosto 2014

Ma dov'è finito il Fiscal Compact?

Ce lo dice il Cancelliere… Del Trattato comunemente definito “fiscal compact” se n’è parlato, con terrore in Italia, negli ultimi due anni. Poi da quando è arrivato Renzi, è diventato come il volo malese MH17. Dopo che si è scoperto che, con ogni probabilità, è stato abbattuto da un caccia ucraino, non se ne parla più. E così, appunto, del Fiscal Compact. Almeno sulla stampa di regime e sulle TV. Tuttavia, a differenza dell’aereo e dei suoi poveri passeggeri, sul quale, tutti d’accordo, si è fatto calare il silenzio, non così potrà essere per il “fiscal compact”. Esiste, esiste, e fra poco ce ne accorgeremo. Abbiamo rivolto la domanda al nostro ormai famoso Cancelliere, che ci ha risposto sinteticamente. “Caro Lugaresi, il trattato esiste, eccome, e deve essere applicato dal 2015, quindi iniziando con la “legge di stabilità” di quest’anno. Quello che la stampa specializzata ha riportato finora (pochissimo), sostanzialmente prevede un prelievo automatico pari ad 1/20 delle entrate fiscali di ogni Stato a favore dell’Europa. Con questo meccanismo la UE si garantirebbe dalle “furbate” degli Stati Membri. La proposta (sempre secondo le scarne notizie provenienti dalla stampa economica specializzata), proviene dalla commissione di “saggi”, tutti “liberisti ultraortodossi”, che hanno nel mirino particolarmente due Paesi: Grecia ed Italia, con deficit elevatissimo. Quanto alla prima, è ormai “morta” e rappresenta un problema minore. Diverso è il caso dell’Italia, perché 1/20 delle entrate fiscali (e non del PIL) rappresenterebbe comunque un prelievo aggiuntivo di 20/25 miliardi annuo, la cui differenza dovrebbe essere coperta da un equivalente aumento dell’imposizione interna dello Stato. E’ evidente, con un semplice calcolo, che ciò non consentirebbe il rientro del deficit al 60% del PIL, ma solo al 90/100 %. Infatti il deficit italiano debito/PIL si attesta oggi attorno al 130-135%. La differenza dovrebbe essere coperta con la cosiddetta “cessione di sovranità” da parte dello stato (Italia o chiunque altro) alla U.E. in svariati campi (bancario, commercio estero, politica estera, spese militari, ecc. ecc.). Questa proposta, se mi chiedi possa essere realizzata, soffre di parecchi problemi. In particolar modo, il fatto che essa si applicherebbe in Stati come l’Italia e la Grecia, ormai da vent’anni a crescita zero, e con prospettive per il futuro prossimo addirittura peggiori. Non tiene poi conto delle novità degli ultimi mesi sullo scacchiere europeo. Ne cito solo due: in primo luogo la guerra ucraina avrà una sicura recrudescenza dopo le elezioni parlamentari della Rada, previste per ottobre. Infatti, non votando più le regioni del sud-est, ci sarà un nuovo Parlamento ultranazionalista fondamentalmente molto più filo-U.S.A. e meno filo-europeo. Almeno rispetto ai Paesi un po’ più moderati come appunto l’Italia, la Germania e la Francia, solo per citare i più importanti. Tale nuovo Parlamento sarà di sicuro molto più legato agli U.S.A. e agli oltranzisti U.E. del Nord-Est (Svezia, Polonia, Baltici, ecc.). Inoltre, ancor prima potremmo assistere ad uno scontro diretto con il blocco Euroasiatico, cioè con la Russia, nella piccola regione della Transnistria all’interno della Moldavia. Tale Repubblica, popolata da russi, di fatto, da due decenni, si è resa “indipendente” all’interno della Moldavia. Varie agenzie di stampa segnalano in Moldavia appunto le ultime due o tre settimane, presenze abbastanza massicce di contingenti U.S.A. e rumeni, sotto comando U.S.A., che possono far presagire un attacco alla piccola entità autonomista per eliminarla. E’ evidente che a Washington non si vuole ripetere l’errore ucraino, dove l’esercito e soprattutto la “guardia nazionale” di Pravy Sektor si sono mostrati poco efficienti nel combattere la Milizia del Doneztk e Lugansk, subendo battute d’arresto e ripetute vere e proprie sconfitte. Cosa che ha portato allo stallo sul campo nell’imminenza della stagione invernale e ad un rimescolamento dei piani elaborati, come tempistica bellica, negli Stati Uniti a suo tempo. Ne sono una prova indiretta le vere e proprie invettive e “crisi di nervi” del Segretario Generale Nato Rasmussen, proprio in questi giorni. Questi fatti non potranno non avere effetti anche, se accadessero, sulla situazione economica dell’Europa (si pensi alla Germania che, della guerra ucraina, pur avendo aiutato il golpe di febbraio 2014, avrebbe con il senno di poi, fatto volentieri a meno), e quindi sull’applicazione più o meno “tagliente” del Fiscal Compact che comunque, ribadisco, rimane sempre un argomento sul tappeto di questo disgraziato continente. Ho cercato di essere sintetico, e ti saluto cordialmente.”