venerdì 15 agosto 2014

Buon Ferragosto

La crisi del nostro paese è profondamente diversa da quella che da 14 anni sta attanagliando gran parte del mondo occidentale, retto da un sistema capitalistico che ha obnubilato con promesse di benessere le masse e concentrato la ricchezza nelle mani di sempre più ristrette oligarchie. Questa diversità non riguarda parametri economici o indici sociali, ma risiede nell’animo del popolo italiano o, per essere più precisi, nell’animo degli abitanti della penisola italica; sì, perché parlare di popolo italiano significa attribuirci un senso di nazione che non abbiamo, non tanto e non solo in termini geografici, quanto per ciò che concerne l’ attaccamento alle istituzioni, il rispetto delle regole che ci siamo dati e l’orgoglio di definirci un unico popolo. Se ripercorriamo brevemente la nostra storia, non è difficile accorgersi di come, sin dalla fine dell’impero romano, non abbiamo più nutrito alcun interesse nei confronti della proattività civica. Nei secoli, siamo stati eccelsi nelle arti, ma molto scarsi nel prendere l’iniziativa su noi stessi; abbiamo subìto le più disparate invasioni di popoli provenienti da ogni dove, fino a coniare quello che più che un detto, appare un motto: “Francia o Spagna, purché se magna!”. Sempre pronti a cambiare casacca, rubando all’invasore il meglio di ciò che portava, dall’architettura alla cucina, lasciandogli, al cambio di dominazione, un po’ di rancore verso un popolo voltagabbana e tanta voglia di Bel Paese. Aspettiamo gli eventi e ci prepariamo a sopravvivere in essi e ad essi, cercando di trarvi il maggior beneficio individuale possibile: questo è il succo del nostro animus civico. Oggi chi ci governa non ha sufficienti diottrie per vedere oltre un semestre ed anche in quel poco lungimirante lasso di tempo pensa, prima di tutto, a strutturare il proprio potere. Non si parla concretamente di come combattere la disoccupazione, la tassazione soffocante, di come dar impulso alla ripresa e speranza alle nuove generazioni. Si traffica in accordi sul senato, si briga di legge elettorale, di numero dei parlamentari e di come tutelarli. Il paese è allo stremo e dentro al palazzo si fanno orge autoconservative anziché proficue sessioni di lavoro omnibus. Sappiamo tutti che i tavoli decisionali sono sovrannazionali e che i muratori che ipotizzano un nuovo ordine mondiale hanno manovali nelle istituzioni di ogni stato, anche nel nostro. Qualche centinaio di nominati sta trasformando la nostra repubblica democratica, non modernizzandola, come vogliono farci credere e come sarebbe doveroso, ma adeguandola alle esigenze delle oligarchie internazionali, macellando i cittadini con tassazioni medievali e nonostante questo noi stiamo a guardare. Risulta quindi difficilissimo assumere decisioni non avvallate da questa ristretta cerchia di nuovi padroni, ma vivaiddio se non vogliamo farlo per noi, almeno tentiamo di ribellarci allo status quo per dare un futuro ai nostri figli! E invece aspettiamo gli eventi e guardiamo i manovratori, autoconvincendoci di credere nelle parole dell’ultimo imbonitore che è salito sul suo sgabello per prometterci la felicità. Questa nostra indolenza è acuita da una narcosi indotta da anni di veline e tronisti, sapientemente dosati per azzerare non solo le capacità di reazione collettiva, ma anche quelle di ragionamento ed analisi oggettiva della realtà. Di cosa avremmo bisogno per non affondare lo sanno tutti, anche i benpensanti radical chic, anche se non lo dicono per non sembrare politicamente scorretti. Avremmo bisogno di svecchiarci, di riformarci, di essere competitivi, di innovare, snellire, sburocratizzare, smantellare privilegi e baronie, innalzare il livello di capacità della classe dirigente, sconfiggere l’evasione fiscale, attrarre investitori stranieri, regolamentare l’immigrazione e chiedere agli immigrati il rispetto delle nostre regole che dovrebbero organizzare la civile convivenza (il condizionale è d’obbligo visto l’andazzo). Come fare a realizzare tutto questo invece rimane un mistero, un mix di ricette e provvedimenti che puntualmente non funzionano. Questo non dispiace troppo però, anche perché, se funzionassero, saremmo costretti a cambiare davvero e cambiare è sempre difficile e stancante. Gli abitanti di questa penisola ne hanno passate tante e passeranno anche questa nottata. Non possono però pensare di uscirne uguali ad oggi. L’inerzia e l’indolenza questa volta graveranno sul conto che sarà assai salato e che ci verrà presentato da quei poteri internazionali che ci stanno servendo, una dopo l’altra, le portate di questa nostra sempre più parca mensa. Ma avremo tempo per pensarci, perché adesso ci si deve godere il ferragosto.