giovedì 22 agosto 2013

Previsto

L’avevamo un po’ previsto ma l’articolo del 14 agosto del Cancelliere ha suscitato un gran numero di commenti. Oltre che di “cliccate”. Tralasciando quelli positivi, ci interessano invece quelli negativi che abbiamo girato all’interessato perché li commentasse. Non ci ha deluso rispondendoci per le sue abitudini piuttosto velocemente e, come sempre, esaurientemente, così ci scrive. Le critiche alle mie analisi del 14 agosto si muovono sostanzialmente su due piani. Il primo: mi si accusa di trascurare il “grande miglioramento” dello spread italiano. Rispondo come hanno fatto già anche giornali non specializzati ma “non allineati” con quelli governativi. Il calo del differenziale BTP/Bond dipende in buona parte dall’aumento del titolo di stato tedesco dovuto anche a manovre poste in essere da quel governo in vista delle prossime elezioni. Infatti i risparmiatori tedeschi, da un pezzo, si erano stancati di percepire rendimenti negativi. I membri tedeschi del Board della BCE avevano aspramente criticato le dichiarazioni di giugno di Draghi di essere disponibile a portare i rendimenti sotto lo zero per sostenere il BTP e il Bonos spagnolo. Infatti non se ne è fatto nulla e il tasso BCE, pur basso, non è sceso. Quindi il recupero sullo spread è per gran parte pura propaganda verificabile dal fatto che il tasso medio sul debito italiano oscilla ormai da un anno tra il 4 e il 4,50% pur con variazioni ampie dello spread, il che non riesce a nascondere, a chi abbia occhi per vedere la drammatica situazione del mercato dei capitali, in Italia in particolare, e in Europa in generale. In secondo luogo ai miei critici rispondo ripetendo e cercando di precisare alcuni concetti che mi paiono elementari: prendendo per buone le previsioni governative è certo che esse presuppongono, tralasciando volutamente i problemi sul lato dell’offerta che ho sottolineato nell’articolo del 14 agosto e di cui nessuno parla 1) un rientro ai livelli produttivi del 2007 entro 5 o 6 anni cioè nel 2018-2020 2) un tasso di disoccupazione stabile all’11/12 per cento, ma in realtà ben più alto, fino al 2018. 3) Idem per il “credit crunch” destinato ad aggravarsi, per almeno un biennio ancora. Anche tralasciando il primo di questi aspetti, può un paese resistere al secondo e al terzo per un periodo di tempo così lungo? Per me assolutamente no. E temo ce ne accorgeremo presto. Aggiungo un altro aspetto che tutti dovrebbero conoscere: i dati del PIL in Italia sono condizionati dall’enorme peso del settore pubblico. Lì il valore aggiunto è rappresentato dal salario dei dipendenti tout court senza alcuna valutazione reale, salvo quelle puramente burocratiche, di efficienza. Quindi paradossalmente più l’Italia si burocratizza più acquista qualche frazione di PIL. Ma a quale prezzo? Il settore pubblico è l’unico che non è stato sfiorato dalla crisi, anzi, è ancora più protetto. E, in fondo questo è logico, avendo lì, entrambi i due partiti di governo, PD e PDL, con una preferenza per il primo, il loro bacino elettorale equivalente a circa il 40% degli aventi diritto. Questo fatto va tenuto presente per capire che il calo dell’economia reale è stato molto più forte di quello che può desumersi dal PIL. Allo stesso tempo i miglioramenti frazionali che sicuramente vedremo nei prossimi mesi saranno enormemente condizionati dagli anch’essi frazionali miglioramenti economici ottenuti dal pubblico impiego. Ma che ciò sia un bene per l’Italia è tutto da dimostrare. E’ certo ottimo per i dipendenti pubblici e per i loro padrini politici, ma per il resto dell’Italia non credo proprio. Fatte queste premesse ai miei critici concludo dicendo, nonostante la confusione generata dai dati fuorvianti, tutte le analisi serie concordano su un fatto. In Italia con un sistema bancario che, confermo, è pericolosamente vicino al tracollo, non vi è alcuna redditività del capitale di rischio compreso quello umano. Questo spiega ad esempio anche il crollo delle libere professioni dell’ultimo biennio. Libere professioni che, prevedo, nel giro di pochissimi anni dimezzeranno le proprie consistenze numeriche, con ricadute micidiali sui, peraltro già falliti, sistemi previdenziali propri nonché, ovviamente, sull’occupazione reale. Non quella “rilevata” essendo, come già detto, il dato manipolato e quindi insignificante e addirittura fuorviante proprio perché menzognero. Se il capitale di rischio non rende nulla vuol dire che il tessuto economico del nostro paese è ormai confinato, oltre che nel menzionato e intoccabile pubblico impiego, in settori a bassissimo valore aggiunto dove, a parte e nonostante i salari bassissimi, la concorrenza annulla i profitti. Di solito queste situazioni patologiche si sanerebbero con nuovi investimenti e soprattutto con investimenti innovativi che però costano. Purtroppo in Italia, con un sistema bancario in una situazione di non dichiarato default, i capitali potrebbero arrivare solo dall’estero. Ma a questo punto si pone una domanda. Al di là dei capitali di dubbia origine, quale impresa, valutato il sistema italiano basato sulla corruzione, la burocrazia onnipresente pervasiva e onnipotente, e una iperfiscalità, investirebbe un euro in Italia? Per me nessuno. E così sta accadendo. Infine una risposta alle critiche che accusano le mie analisi di trascurare il “mercato russo” (?!). Si tratta, com’è facile capire di critiche, che vengono da Rimini dove la “questione russa” innescata dall’Aeroporto, ha un peso determinante. Maggiore, a mio parere, di quanto meriterebbe. Tuttavia la Russia è un po’ più grande e più complessa di quello che ci immaginiamo in riva all’Adriatico. Già da maggio la Banca di Stato Russa ha preannunciato una drastica riduzione dello stock dei crediti al consumo che avevano avuto un’esplosione dal 2010 al 2012. (+ 40% solo nel 2012). Questo per evitare l’eccesso di indebitamento privato che, in parte ha “spinto” l’economia di quel paese, ma che si sta rivelando molto pesante per il sistema creditizio, che teme un default di massa ed è alle prese con insolvenze sempre più massicce che ne sono il sintomo. Diciamo che la Russia sta vivendo una sua piccola versione della crisi subprime americana del 2007/2008 senza però l’effetto contagio allora sparso in tutto il mondo attraverso l’ “impacchettamento” dei debiti nei cosiddetti derivati. Quindi è probabile che nei prossimi anni assisteremo, se non a un vero rallentamento a una stabilizzazione dei flussi anche turistici della Russia verso l’estero. In ogni caso rispetto alla mia analisi si tratta di elementi di poco peso se non insignificanti. Il sistema italiano è morto, e quasi completamente per colpa sua. Non lo rivitalizzeranno né i predicozzi di Letta/Napolitano né quelli di giornali “governativi” che “vedono” la “grande svolta”, né i voli del Fellini con qualche cittadino di Ekaterinburg in più. Vi saranno, ovviamente, tante salvezze individuali ma nessuna collettiva, e sul “sistema paese” confermo quanto ho già detto il 14 agosto. Sperando naturalmente che abbiano ragione i miei critici... .
Il Cancelliere