giovedì 8 agosto 2013

Tre anni all'Alba

Sciacallaggio, strumentalizzazione o analisi sociologica: non ci importa come verrà considerata questa nostra riflessione sulle morti da sballo dell’estate riminese. Non si può tacere per paura di urtare i benpensanti, i moralisti o i relativisti cittadini. Morire nel fior fiore della giovinezza, mentre si cerca una forma di divertimento malata, può essere un episodio isolato o una pericolosa deriva sociale, difficile da arginare, ma non impossibile da non incentivare. Aberrante però è il parlarne in termini statistici, come qualcuno ha fatto per paura di rovinare la festa. I giovani, in quanto tali, rappresentano ed incarnano da sempre sia la spinta verso il futuro, sia le problematiche di un’età tumultuosa. Essi sono alla ricerca della loro strada, del loro domani e di tutte le emozioni che la bellezza della vita gli consente di provare. La loro crescita, l'individuazione di una dimensione ed il rapporto con gli altri necessitano, per riuscire, di un humus fatto di valori, di ascolto e di comprensione. Noi, gli adulti di oggi, non siamo più in grado di garantire il passaggio di questi testimoni. Non riusciamo a trasmettere valori, e non mi riferisco a quelli della religione, perché forse non ne abbiamo più di tanto solidi. Infatti, il rispetto dell’altro è subordinato al proprio benessere; l’obiettivo non si raggiunge con sacrificio e dedizione, ma tutto deve arrivare subito; i soldi non si fanno col lavoro, ma con una botta di culo al gratta e vinci. Tutto vero, non perché noi adulti siamo degli stronzi (a volte sì), ma perché in un’epoca dove il lavoro giovanile è un miraggio e lo stipendio, per chi ce l’ha, serve a malapena a pagare tasse e bollette, giorno dopo giorno si fanno spazio le leggi delle jungla. E allora non si ha più tempo né voglia per ascoltare i giovani e per comprenderli, perché vige la regola del si salvi chi può. Il modello televisivo berlusconiano, imposto da venti anni, ha completato il quadro di vuoto. Veline, tronisti, de filippi e grandi fratelli, hanno insegnato ai giovani ad essere così, e ad inseguire quei modelli futili ma pieni di successo e tanto spensierati. Tutti i sociologi e gli economisti sono concordi nell’affermare che la generazione dei giovani di oggi sarà la prima, dopo secoli, ad essere più povera di quella dei loro genitori. Noi non siamo né una colonia estiva, né un collegio svizzero, ovvio, ma di fronte a questa aberrante prospettiva, essere una città che offre accoglienza e divertimento non è una responsabilità di poco conto. Che tipo di accoglienza offriamo ai giovani che scelgono Rimini per le loro vacanze? Quale divertimento proponiamo a loro ed ai nostri ragazzi? Se l’amministrare la città è inteso come gestire un locale e tutto viene trasformato in una discoteca, è ovvio che il messaggio che passa è quello che spensieratezza e divertimento fanno rima con evasione e sballo. Una bella “gatta” estiva o la sensazione di ebbrezza dopo un fresco aperitivo in spiaggia, sono cose meravigliose e giuste, ma non può un’amministrazione cittadina, istigare a vivere il divertimento sempre col “minimo alzato”. Quell’invenzione molto simile al Circolo degli Scacchi che si è chiamata Piano Strategico, tra una visione bucolica e un pensiero angelico, dovrebbe aver partorito anche una riflessione circa il “chi vogliamo essere”, in qualità di città a vocazione turistica. Non ci spieghiamo, pertanto, il silenzio di cotanto consesso di fronte ad episodi che cozzano completamente con la creazione di una città a misura d’uomo, che è la ragion d’essere del Piano Strategico stesso. Quindi, amici concittadini a corredo di Ermeti, cosa facciamo? Iniziamo una riflessione seria o continuiamo a far organizzare al Giovane dei rave party per i superstiti? Pensiamoci bene, mancano ancora quasi tre anni all’alba.