venerdì 17 aprile 2015

Il Flagello di Rimini

Lo spostamento del mercato ambulante non è un fatto secondario che riguarda solo gli addetti ai lavori. È un’operazione complessa con mille risvolti che vanno attentamente valutati. Certo, voler liberare l’area attorno a Castel Sismondo è indubbiamente un obiettivo encomiabile; renderla verde e fruibile ai cittadini, in teoria, non solo migliora l’arredo urbano, ma da una connotazione ecologica ad una parte molto importante della nostra città. Amministrare, però, non vuol dire solo attuare delle idee ma occorre contestualizzarle nel momento storico in cui vengono elaborate prima e realizzate poi, nonché valutarne gli effetti a lungo termine. Partiamo da un’analisi storica che, credo, a Palazzo Garampi nessuno abbia fatto. Ai tempi dell’antica Grecia democratica, ogni città era divisa in acropoli e agorà, ovvero la parte alta ospitante gli edifici di culto e quella bassa in cui si svolgeva la vita pubblica e commerciale della polis. I romani, nel forum magnum (consiglio comunale) o più semplicemente forum (pub), avevano spesso accorpato tutte e tre le funzioni, facendo diventare questa parte della città il vero e proprio cuore pulsante della vita comune. In Italia vediamo come tali divisioni siano rimaste inalterate nei secoli, dai tempi delle colonie greche fino ai giorni nostri, passando per il medioevo, per la fiorente età dei comuni e per lo splendore dei rinascimento. Rimini, pur essendo città romana, ha adottato in epoca malatestiana uno schema molto simile a quello greco: il Tempio in via IV Novembre e la vita civica e commerciale attorno a Piazza Cavour. Oggi qualcuno ha deciso che si deve cambiare. Se fosse solo una questione di stravolgimento culturale e storico, saremmo i primi a dire andiamo avanti in nome del progresso. Nel nostro caso, invece, ribadito che nessuno si è posto il problema culturale della nostra riminesità, crediamo si tratti più che altro di una navigazione a vista. La volontà di spostare il mercato dall’attuale collocazione, infatti, non tiene conto di importanti elementi contingenti, primo fra tutti la forte difficoltà in cui versa il centro storico, sia per la crisi socio-economica del nostro tempo, sia per scelte urbanistiche (fatte e non fatte) che lo hanno fortemente penalizzato. Molte volte abbiamo scritto delle decine di negozi chiusi e delle tante attività fallite in costante aumento; serrande abbassate che colpiscono il Cuore di Rimini come impietose metastasi di una malattia che nessuno sembra voler curare. Una situazione del genere, evidente a tutti coloro che in centro decidono di fare anche solo quattro passi, non può non essere chiara a chi amministra la città, però dal Lungomare. Togliere il mercato ambulante oggi dall’attuale collocazione, è come quando si praticavano salassi al malato agonizzante nella speranza che migliorasse. Due giorni alla settimana nel centro storico di Rimini torna a pulsare il commercio: bar e negozi beneficiano del flusso dei visitatori del mercato e si da un po’ di linfa a quell’economia che cerca di restare viva nonostante la presenza dei grandi centri commerciali. Altro aspetto connesso e non abbastanza considerato, sarà la gestione del realizzando parco. Oggi è completamente assente qualsiasi forma di controllo e governo del territorio presso il Parco Cervi, divenuto sede di spacciatori e non meglio identificati soggetti bivaccanti, spesso ubriachi, che riempiono l’area verde di rifiuti e deiezioni. Recatevi là a qualsiasi ora per verificare. Il piccolo giardino delle Mimose, dietro al Comune, non versa in condizioni migliori, così come tutto il centro storico dopo le 20. Spostare il mercato, togliere posti auto e rendere tutto prato, magari con i cerbiatti delle slide di Ermeti, significa consegnare definitivamente il centro storico alla microcriminalità. Questa operazione voluta dal Sindaco ricorda molto le distruzioni praticate nel ventennio per esaltare i monumenti inneggiati la gloria del dux. Voler lasciare un segno del proprio passaggio non sempre è a beneficio della collettività: pensate ad Attila.