venerdì 17 aprile 2015

Italy is back

Il Terzo Premier non eletto è stato ricevuto da Obama. In previsione della attesa chiamata si era recato ad un Cepu fiorentino ed aveva fatto una full immersion di inglese. Le sue prime performance sono state patetiche. Italy is Back, è stata la frase che l'allievo prediletto di Verdini ha recitato al padrone americano. Seguita dal "The book is on the table" come ci racconta l'amico Luca. Sembra sia stata suggerita da Farinetti. Siamo ritornati alla politica estera "stradiata". I soli personaggi che hanno avuto atteggiamenti diversi sono stati nell'ordine: Andreotti, Moro e Craxi. Non porta bene. Il Premier, innominabile per ordine di Grillo, ha detto che l'Italia si è risollevata grazie al Jobs Act e la riforma elettorale. Abbiamo parlato perfino troppo di quell'imbroglio lavorativo che solo un partito come il Pd poteva approvare e rimanere ancora nella sinistra europea, mentre la legge elettorale ancora non è approdata in acque sicure. Non credo davvero che provochi lacerazioni drammatiche nel Pd. I Bersani e Speranza sono, da sempre, innocui abbaiatori. Il Premier però ha ragione su un aspetto sul quale credo tutti possano concordare. Un minuto dopo la chiusura dei seggi si deve conoscere il nome del Primo Ministro. Va benissimo il premio di maggioranza alla lista non alla coalizione, ma che nei cento collegi i capilista siano in mano ai partiti è copiare il MoVimento di Grillo dove tutti vengono scelti da lui. E' vero che in questo Paese non decide mai nessuno, però le tangenti vengono assegnate regolarmente. Neanche il Berlusconi proprietario di una maggioranza schiacciante è riuscito nell'intento di riformarlo. Ci prova il terzo nomimato per l'ultimo inciucio. Per fortuna abbiamo un Presidente attentissimo, leggermente troppo loquace. Sembra il Napolitano dei primi tempi, i migliori. Con questo assetto istituzionale, qualunque sia la legge elettorale, nessun cesarismo è possibile, questo è un assunto che sconfina però nell'immobilismo decisionale. Personalmente da sempre sono per i collegi, ma l'idea di proporre una legge elettorale a doppio turno, come quella dei comuni, che determina vincitori e perfino i vinti, evita il formarsi di quelle coalizioni pentapartitiche o unioni prodiane. Questi sono gli elementi sopportabili. Il Senato fintamente cancellato, perfino riesumato, ripete però la farsa delle Province. I parlamentari sono eletti in 100 collegi, che assegnano circa 6 seggi ciascuno. I capilista di ogni formazione sono bloccati e scelti dai partiti stessi, con primarie di extracomunitari o meno. Nelle liste che eleggono più di un deputato, gli altri sono scelti con le preferenze. Il premio di maggioranza va alla lista, non alla coalizione: al vincitore toccano 340 seggi su 630 (il 55%), se al primo turno supera il 40% dei voti. Altrimenti, si va al ballottaggio tra le prime due liste. Il restante 45% dei seggi è ripartito proporzionalmente tra tutte le liste che supereranno il 3%. Francamente rischi per la democrazia non ne vedo oltre a quelli che corriamo tutti i giorni con il Sistema Italia che sta franando. Il rischio lo corre il Pd del Premier, che aveva formulato l'impianto all'indomani dell'abbuffata europea. Il premio di maggioranza, il vero regalo costituzionale, lo si prende con una soglia molto alta, poi ci sono i ballottaggi che rappresentano una incognita terribile per i padroni dell'Italia. Farebbe bene l'allievo di Verdini ad escogitare invece un comma del codice penale per cui dopo tre piddini sia obbligatorio almeno un alfaniano.